Il viaggio. Tra i dimenticati delle periferie: la condivisione prima forma di aiuto
L'arcivecovo di Palermo, Corrado Lorefice, durante la fiaccolata per la legalità
«Gesù è nato in periferia» ha ricordato, tre giorni fa, papa Francesco, incontrando i parroci di Acilia, quartiere periferico di Roma. Un segnale, alla vigilia del Natale, per ribadire ancora una volta la centralità delle persone dimenticate, degli ultimi. Ad Acilia, ad esempio, c’è un progetto che vede protagoniste le parrocchie nel garantire servizi e assistenza a un centinaio di mamme straniere in difficoltà. La scelta di Francesco di farsi prossimo è profetica. In tante altre zone d’Italia, specialmente nelle aree più a rischio delle metropoli, del Nord come del Sud, tante persone di buona volontà, non solo in queste feste, ma tutto l’anno provano a fare lo stesso, innanzitutto condividendo le sorti dell’umanità fragile. Lo fanno lontano dai riflettori, visto che la grande cronaca si accorge di loro soltanto quando diventa facile cavalcare insicurezza e paure. Questa pagina è dedicata a chi prova, nonostante tutto, a costruire spazi di futuro anche nelle situazioni più complicate.
La Messa nel parco della droga: «Rogoredo è tra terra e cielo»
La Messa di Natale celebrata a Rogoredo - .
«Passa veloce un treno e va lontano. Il mare è come prima» scriveva Sandro Penna, un altro emarginato. Nel parco di Porto di Mare (come si chiama oggi l’area verde dove, prima della bonifica, c’era il Bosco della droga di Rogoredo), il mare esisteva solo nei progetti di inizio ‘900 per collegare Milano con il Po, i treni non dormono mai come lo spaccio e il consumo di droga. Si sono marginalizzati lungo i binari, i tossicodipendenti, aldilà della recinzione di cemento della ferrovia, come testimoniano queste due ragazze, un metro e cinquantacinque per cinquanta chili a testa, una sulla soglia incerta della maggiore età: poco più che ombre, che sgusciano alle spalle delle persone in preghiera per infilarsi in un varco della cancellata. La Messa, sotto un tendone in una rientranza della strada, tra la ferrovia e il parco, la celebra don Diego Fognini, parroco di Morbegno, in Valtellina, a un’ora e mezza di macchina da Rogoredo. «Ecco l’agnello di Dio che toglie i peccati del mondo». La funzione è scandita dallo sferragliare dei treni con i loro passaggi luminosi (passeggeri) e oscuri (merci). Le tre grandi parabole tricolori di Sky sono una triplice luna che sorge da tutt’altra parte, dove finiscono i campi e inizia la grande Milano con il quartiere residenziale di Santa Giulia, dove sorgerà il nuovo palazzetto per le Olimpiadi. Una vedetta dello spaccio passa a controllare su una BikeMi scassata e fregata al Comune di Milano. Qui, nel parco, la mattina dopo passeranno ciclisti in mountain bike (Italia Nostra ha appena completato la segnaletica con la sostituzione dei vecchi cartelli), famiglie a passeggio, anziani e bambini, turisti in visita all’abbazia di Chiaravalle. Qui, lungo i binari, comprano droga si accampano, e dormono anche, decine di persone. «Se si iniziasse anche a pensare a Rogoredo non solo come una zona di spaccio, ma come un luogo dove le persone a cui diamo fastidio o che ci vedono come una piaga desiderano confinarci, si potrebbe finalmente accettare e capire ciò che nelle varie forme Rogoredo rappresenta»: durante la Messa, insieme alla lettera dell’Arcivescovo di Milano Mario Delpini, viene letto questo messaggio di Dylan, un ragazzo tossicodipendente appena entrato nella comunità di Simone Feder. Una grande area verde accessibile a tutti, una piazza di spaccio e un luogo dove si curano le persone. Insieme a don Diego ci sono tutti quelli del team Rogoredo (Casa del Giovane, La Centralina, Cisom, Vispe, Milano Sospesa) che ogni lunedì e mercoledì vengono qui a prestare assistenza. «I numeri variano molto, da poco più di una decina dopo le operazioni di polizia, che sono sempre continue, a settanta ottanta», spiega Annabella, volontaria del Cisom (Corpo italiano di soccorso dell’Ordine di Malta). «Questi fratelli ci costringono a guardare come strabici, con un occhio verso il cielo e con l’altro sempre ben piantato a terra» prosegue don Diego. In cinque anni, venendo qui tutte le settimane è riuscito a portar via da Rogoredo nella sua comunità (La Centralina) dieci giovani, e due li ha ripersi. Queste le gocce, vediamo il mare, con i dati di Ats Milano, nell’ambito del progetto Rogoredo della Prefettura di Milano. Quest’anno le uscite non hanno mai registrato meno di 50-60 contatti al giorno (900-1.000 al mese), con una punta massima di 108 al giorno e di 1.945 a settembre. Nel 2022 su 14.597 contatti, sono state curate 302 persone in strutture ambulatoriali e residenziali. Droga: facile entrarci, difficile uscirne. A spiegare perché ci prova Riccardo, che dopo un percorso terapeutico alla casa del Giovane di Feder si è ricostruito una vita: «La usi per staccare, ti abitui, salgono i problemi, perché le persone intorno a te si accorgono che c’è qualcosa che non va, e per non affrontare i problemi sale anche la dipendenza, in una spirale di bugie». «Signore, non son degno di partecipare alla tua mensa, ma di’ soltanto una parola e io sarò salvato». La Messa è finita, si distribuisce la cena con polenta, formaggio , dolci, tè e panettone, si danno i regali (un ragazzo cede i suoi a una donna), vengono dati vestiti puliti e coperte per la notte. (Simone Marcer)
Palermo, fiaccolata di legalità. Quei segnali da Zen e Ballarò
Il Natale di Palermo racconta, in modo estremo, la lotta tra la rassegnazione e la speranza, tra la violenza diffusa e la ribellione gentile di chi non vuole arrendersi. Nella notte tra mercoledì giovedì scorsi, Rosolino Celesia, un ragazzo di ventidue anni, è stato assassinato nella centralissima via Pasquale Calvi. Alcuni colpi di pistola non gli hanno lasciato scampo. Sullo sfondo – in una dinamica ancora da chiarire per diversi aspetti – una serata in discoteca. Due fratelli sono stati fermati dalla polizia, a sparare sarebbe stato il più giovane, un diciassettenne, ma rimangono molti dubbi sulla sua versione dei fatti. Questo il tragico epilogo di mesi caratterizzati da furti, risse nella zona della movida e incursioni di bande “spaccavetrine” che con arieti di vario genere distruggono le difese dei negozi.
Antonio Cottone, guida della Fipe – l’associazione dei pubblici esercenti di Confcommercio Palermo – ha messo insieme i pezzi di un clima inquietante. «Alcuni dei nostri associati – lancia l’allarme Cottone – hanno paura che possa tornare il racket del pizzo in grande stile, se il territorio sarà lasciato sempre più in balia di fenomeni criminali».
Ma questi sono anche i giorni dei cittadini onesti che scendono in piazza per ribadire il loro “no” al degrado, come è accaduto giovedì sera. Una fiaccolata “per la legalità” fissata da tempo, si è dovuta confrontare con gli spari imprevisti di via Calvi. Un corteo partecipato e luminoso, con l’arcivescovo di Palermo, monsignor Corrado Lorefice in testa, ha sfilato nella zona contigua alla stazione centrale, definita un Far West da residenti e commercianti.
«Quello che succede è un segno che ci chiede realmente una rinnovata assunzione di responsabilità – ha detto l’arcivescovo –. Non possiamo soltanto rimanere meravigliati. Ci sono ferite molto gravi che dobbiamo toccare e riconoscere con coraggio, per trovare vie anche radicali. Per questo è un bene che possiamo ritrovarci e che la città stessa si confronti con una ferita che ci appartiene. Questa manifestazione è un chiaro monito: Palermo vuole esserci. Gli ultimi eventi – ha proseguito “Don Corrado” ◘– ci preoccupano, ci fanno soffrire e dicono cose precise: intanto che c’è una deriva educativa».
Accanto al suo Pastore, la città che non cede. La Palermo di Maria Teresa Macchiarella, titolare del “Gran Cafè Torino”, bersagliato dai ladri per quattro volte in un mese. «Il centro si va spopolando – ecco il racconto di Maria Teresa –. Molti amici che avevano un negozio sono andati via. Io e mio marito Attilio stiamo cercando di reggere, per difendere il frutto del nostro lavoro e del nostro impegno di anni».
Fra Gaetano, parroco di Sant’Antonino, la chiesa che ha promosso la fiaccolata, propone una svolta: «Chiediamo a tutti di innamorarsi di Palermo e del nostro quartiere, per prendere nuovamente possesso dei luoghi».
Si lotta ovunque, contro l’inerzia, tra centro e periferia. Scendono in campo, a Ballarò, piazza di spaccio a cielo aperto, preti e volontari. Don Enzo Volpe, con suor Maria Teresa Luisa, nel cuore del quartiere, ha fondato “Casa Àncora”, un luogo aperto sulla strada, pensato per abbracciare tutti.
«Ballarò – dice don Enzo – è sempre stato accogliente e amico di ognuno, in una mescolanza di culture che lo ha arricchito. Questa casa, pur tra mille difficoltà, porta avanti la nostra speranza».
Si costruiscono presente e futuro allo Zen, realtà nota per i suoi gravissimi disagi. «Lo Zen è un luogo di speranza – dice padre Giovanni Giannalia, parroco di San Filippo Neri –. E io la vedo incarnarsi nella presenza di tantissimi bambini e giovani. La scommessa è quella di crescere come collettività e come singoli». Sono mondi che cercano la stessa strada. Il sogno che li unisce si riassume nell’identica parola condivisa da molti: la speranza. Un’invocazione, nel Natale di Palermo. (Roberto Puglisi)
Don Antonio e la nuova “paranza” di Napoli
Don Antonio Loffredo e i ragazzi di Napoli - .
Don Antonio Loffredo ci aspetta sul sagrato della chiesa di Sant’Aspreno ai Crociferi. Indossa lo stesso giubbotto che indossano le giovani guide delle cooperative che ha contribuito a fondare negli ultimi vent’anni in questa periferia interna di Napoli. In questa chiesa dedicata all’altro santo patrono della città, tenuta chiusa fino a poco tempo fa, è stato allestito lo “Jago Museum”, nel quale sono esposte alcune delle opere dello scultore Jago, che in questo quartiere ha trovato il luogo ideale per vivere e creare. L’obiettivo è portare anche qui, in questa parte del rione Sanità, quel cambiamento generato dal modello cui don Antonio diede vita quando era parroco della chiesa di Santa Maria della Sanità e decise, con i suoi giovani, di prendere in gestione le Catacombe di Napoli.
L’idea era semplice, e a vent’anni di distanza non è cambiata: puntare sulla bellezza, sul patrimonio culturale, spesso e volentieri lasciato a marcire, affidarlo ai giovani, dando vita così a un cambiamento nell'intera comunità. Quando era solo un ragazzo, il nonno metteva in guardia don Antonio: «Stai lontano dalla Sanità», gli diceva, non immaginando lontanamente che la vita di suo nipote sarebbe stata legata indissolubilmente a quel posto. «Presto – rivela il sacerdote, che è in attesa di un nuovo incarico dopo aver lasciato la parrocchia in cui tutto è iniziato – i nostri giovani porteranno la stessa esperienza anche nel centro storico di Napoli». Quel centro storico visitato da milioni di turisti ogni anno, i cui beni culturali non hanno certo bisogno di essere valorizzati come quelli del rione Sanità, ma nel quale i ragazzi di don Antonio possono portare quello spirito comunitario che caratterizza invece il modello che hanno creato nel loro quartiere. Un modello, questo, che ha al centro la cooperazione: «Da due secoli la Chiesa ci invita alla cooperazione. “Cooperativa” è uno stile di vita: gli utili non si dividono, ma si reinvestono. Somiglia allo spezzare il pane».
Presto, le guide che accompagnano i visitatori nello “Jago Museum “allestito nella chiesa di Sant’Aspreno ne costituiranno una nuova: sarà l’ennesima parte di quel processo partito poco dopo il 2000 con la cooperativa “La Paranza”. «Siamo ormai alla seconda generazione», racconta don Antonio, mentre ci accompagna per i vicoli di questo angolo del rione che ha ricominciato a vedere turisti passare. Mariano, un altro giovane della nuova “paranza”, attende i visitatori all’ingresso della chiesa di Santa Maria Maddalena ai Cristallini, anch’essa chiusa fino a poco tempo fa. A far da altare c’è la prua di un barcone che trasportava i migranti che tentano la traversata del Mediterraneo. Lo hanno decorato i detenuti del laboratorio di falegnameria e liuteria del carcere napoletano di Secondigliano, coinvolti nel progetto “Metamorfosi” promosso in diverse carceri italiane dalla Fondazione Casa dello Spirito e delle Arti. Un azzurro vivo, che ricorda il mare di Napoli più che i colori della sua squadra di calcio, è il colore che domina la chiesa. Un azzurro che è ovunque: sulle pareti, sul barcone-altare e sul quadro che lo domina. Disseminate nella chiesa ci sono poi le gigantografie con i volti della gente del quartiere: è quella «comunità» così cara a don Antonio e ai suoi ragazzi.
Qui fanno le prove i bambini del coro di voci bianche da poco nato, che vede la collaborazione di Andrea Bocelli e della sua fondazione. Più lontano c’è il Cimitero delle Fontanelle, che da quattro secoli ospita i resti dei napoletani che non potevano permettersi una sepoltura e delle vittime delle epidemie che hanno colpito la città. Ora è chiuso, ma a breve sarà riaperto proprio dai giovani delle cooperative nate nel rione intorno a don Loffredo, che hanno vinto un bando pubblico che affida loro la gestione per 15 anni. (Antonio Averaimo)