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L’inchiesta. Toti interrogato per otto ore: «Neanche un euro per me»

Danilo Paolini giovedì 23 maggio 2024

Serve tempo, per difendersi dall’accusa di aver chiesto finanziamenti in cambio di favori politici, specialmente per il presidente di una Regione, che qualche potere ce l’ha. E serve tempo per incalzare l’indagato illustre, da 16 giorni finito in custodia cautelare domiciliare con le accuse di corruzione e falso, per i pm che ne hanno iscritto il nome sul Modello 21 (“Registro delle notizie di reato a carico di persone note”). Le domande preparate dal procuratore aggiunto di Genova Vittorio Ranieri Mainati e dai sostituti Federico Manotti e Luca Monteverde erano 180. Non poteva durare poco, l’interrogatorio di Giovanni Toti su quello che, con scarsa fantasia, è stato già denominato “Liguriagate”. E infatti è andato avanti per oltre 8 ore, durante le quali - assicurano i suoi avvocati - il governatore «ha risposto a tutte le 180 domande» respingendo ogni accusa.

Il luogo del lungo colloquio - cominciato poco dopo le 11 e terminato dopo le 19,30 - sembra stato scelto accuratamente, ovvero la caserma della Guardia di Finanza di piazza Cavour al porto di Genova, uno dei centri pulsanti della città al centro - secondo l’accusa - della maggioranza dei presunti fatti illeciti. Al termine, Toti ha depositato una memoria di 17 pagine per «spiegare le linee politiche e morali» della sua guida della Regione Liguria.

Il fondatore di Cambiamo non nega di avere ricevuto contributi da finanziatori, ma esclude qualsiasi uso illecito dei fondi. «Ogni euro incassato ha avuto una destinazione politica - si legge infatti nel documento -: nessun contributo ha prodotto arricchimento o utilità personale a me, agli altri appartenenti al mio partito o a terzi privati». E ancora: « Ogni dazione di denaro è stata accreditata con metodi tracciabili e rendicontata. Del pari tutte le spese sostenute sono state rendicontate e pubblicizzate in termini di legge e anche oltre. I bilanci e i rendiconti sono stati (e sono ancora) pubblicati sui siti internet delle organizzazioni politiche a mio sostegno».

Questo per quanto riguarda la ricezione di fondi. Ma il governatore ligure (ora sospeso) mette altrettanta energia nel respingere l’accusa di aver ricambiato con favori o anche lasciato intendere di poterlo fare: «Non ho mai travalicato le specifiche competenze degli enti e degli uffici preposti, mai ho ingerito nelle libere scelte e decisioni dei soggetti coinvolti mai ho fatto pressioni verso alcun soggetto, mai ho servito un interesse particolare in danno di quello collettivo».

Insomma, l’immagine che Toti tiene ad accreditare di sé, davanti ai magistrati, è quella di un amministratore che ha «sempre perseguito l’interesse pubblico». E che si è impegnato per «aiutare l’iniziativa privata per far crescere la Liguria», ma senza mai sentirsi «debitore nei confronti di chi aveva contribuito» alla sua attività politica.

Quanto al presunto voto di scambio che sarebbe stato organizzato con i fratelli Arturo e Maurizio Testa per raccogliere voti nella comunità riesina del quartiere Certosa per le Regionali del 2020, il presidente della Liguria ha obiettato di avere vinto quelle elezioni «con circa 380mila voti». Mentre i voti dei riesini sarebbero stati circa 400, perciò «irrilevanti».

Altre domande hanno riguardato ovviamente i presunti favori ad Aldo Spinelli per il rinnovo della concessione del Terminal Rinfuse e l’interessamento per destinare una parte della spiaggia pubblica di Punta Olmo, a Celle Ligure, a uso privato per i 42 appartamenti preventivati dalla famiglia Spinelli. Inoltre, i contributi ricevuti da altri imprenditori. Ma per il governatore indagato, il punto debole dell’inchiesta sarebbe quello di aver preso in esame «solo una limitatissima parte dei rapporti tra amministrazione, presidente e mondo del lavoro e delle imprese» e di averne fatto «paradigma per tutto il resto». Una visione parziale e dunque, secondo la sua versione, non attendibile.

Sullo sfondo della scena giudiziaria, resta il nodo politico delle eventuali dimissioni. «Dipende da Toti e dalla magistratura se si debba dimettere o meno: se vengono revocati i domiciliari, credo possa rimanere alla guida della Regione», ha detto ieri a Porta a Porta il leader di Forza Italia Antonio Tajani. Insomma, se il gip dovesse decidere di respingere la richiesta di revoca della misura cautelare, come per altro ha già fatto mercoledì con l’ex consigliere di amministrazione di Esselunga Francesco Moncada, il destino politico di Giovanni Toti sembrerebbe segnato. Anche se ai suoi avvocati resterebbe ancora la carta del ricorso al Tribunale della libertà.