L'analisi. Scontro toghe-politica. Molti "non torti" e nessuna ragione
Il presidente dell'Associazione nazionale magistrati, Giuseppe Santalucia
Nella serata di venerdì, quando il livello di tensione tra governo e magistratura associata stava salendo d’intensità e lasciava chiaramente presagire il contrattacco messo in campo ieri dall’Anm, il Quirinale ha tenuto a far sapere che il presidente della Repubblica, all’estero per una visita ufficiale (in Paraguay), non aveva commenti da fare. Ciò non significa che Sergio Mattarella non osservi con attenzione, e con preoccupazione, l’ennesimo scontro sul terreno della giustizia. Anzi. Ma il capo dello Stato, al quale la Costituzione affida anche il ruolo di presidente del Consiglio superiore della magistratura, è giurista finissimo e maestro della grammatica istituzionale. Una grammatica le cui regole, su altri versanti, non sempre e non da tutti vengono pienamente rispettate, soprattutto quando si tratta dei rapporti tra potere politico e ordine giudiziario.
Qualcuno, scherzando ma non troppo, ha detto che Silvio Berlusconi ha lasciato due eredità: una è quella miliardaria che ha riempito le pagine di tutti i giornali nei giorni scorsi; l’altra è lo scontro semi-permanente tra il centrodestra e le toghe. In effetti, l’accusa alla Procura di Milano e al Gip di Roma, lasciata filtrare in forma anonima da Palazzo Chigi, di aver voluto «inaugurare anzitempo la campagna elettorale per le elezioni europee» con l’inchiesta sulla ministra Santanchè e con l’imputazione coatta del sottosegretario Delmastro, ricorda pressoché alla lettera uno dei cavalli di battaglia del fondatore di Forza Italia, con la differenza non secondaria che lui ci metteva faccia, nome e cognome. Allo stesso modo, il presidente dell’Anm Giuseppe Santalucia che grida alla «delegittimazione» ripercorre un sentiero ben noto, battuto dai suoi predecessori - tutti o quasi - a partire dagli anni 90.
Ma poiché il problema è grave e, appunto, ultra-trentennale, non può essere liquidato con una battuta o con letture sommarie. Allora va notato che non ha torto il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano, giudice di Cassazione fino allo scorso anno e uomo di fiducia della premier Giorgia Meloni, quando ricorda che la spina dei rapporti con le toghe ha punto negli anni sia il centrodestra sia il centrosinistra. E non ha torto - a prescindere dalle valutazioni di merito sui provvedimenti - nemmeno quando caldeggia la realizzazione delle riforme messe in cantiere dalla maggioranza: sarebbe strano se facesse il contrario.
Allo stesso tempo, tuttavia, non ha torto l’Associazione magistrati a respingere il termine «interferenze», che lo stesso Mantovano ha riferito ad «alcune iniziative giudiziarie» e il ministro della Giustizia Carlo Nordio alle critiche rivolte alle sue riforme. Così come non ha torto, il “sindacato” dei giudici, quando protesta perché dal ministero di via Arenula (ancora in forma anonima, quasi ad ammettere che certe cose non si dovrebbero fare) sono stati diffusi commenti sui procedimenti, ancora in corso, relativi a Santanchè e Delmastro. Purtroppo per il Paese, però, tutti questi “non torti” non fanno una ragione.