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Torino. Accuse di tortura in carcere, arrestati 6 agenti

Andrea Zaghi, Torino giovedì 17 ottobre 2019

Tortura. C’è anche questo nelle motivazioni che hanno condotto, oggi all’alba, all’arresto di sei agenti penitenziari a Torino. Ed è una storia brutta e triste (per tutti) quella emersa dalle indagini in seguito a un esposto del Garante dei diritti dei detenuti, che aveva saputo di alcuni fatti da colloqui avuti proprio in carcere. In pochi mesi si sono scoperti abusi che, se confermati dal percorso giudiziario, delineano le immagini di un inferno.

Alcuni punti fermi, tuttavia, ci sono già: agli arresti domiciliari sono finiti sei agenti di custodia in servizio presso la casa circondariale Lorusso e Cutugno. Il provvedimento riguarda «plurimi e gravi episodi di violenza» commessi tra l’aprile 2017 e il novembre 2018. E gli arresti di ieri riguardano solo una parte delle persone coinvolte: altre sono indagate a piede libero. Obiettivo degli inquirenti è adesso quello di accertare «eventuali responsabilità penali di altri soggetti» e «se ci siano stati altri episodi analoghi». I sei arresti sono scattati per evitare il pericolo di inquinamento delle prove.

Ma che cosa è accaduto? Per capire fino in fondo, bisogna sapere che il reato del quale sono accusati gli agenti è quello previsto dall’articolo 613bis del codice penale: tortura. Gli episodi riguardano il Padiglione C, dove alla sera un gruppo di agenti si dedicava a vessazioni che da alcuni mesi, con l’entrata in servizio di un nuovo operatore, erano diventate «ricorrenti». Non solo minacce («Ti renderemo la vita molto dura»), ma perquisizioni definite dagli inquirenti «arbitrarie e vessatorie», devastazioni delle celle e vere e proprie spedizioni punitive con schiaffi, pugni, calci.

«Ti dovrei ammazzare e invece devo tutelarti» è la frase rivolta a uno dei detenuti prima di picchiarlo. In un’altra occasione un recluso, in piena crisi perché in attesa di un trattamento sanitario obbligatorio, viene chiuso in uno stanzino e malmenato; e mentre urla per il dolore gli agenti «ridevano». Gli arrestati sono poi accusati di aver usato violenza anche psicologica: un detenuto, ad esempio, è stato costretto a ripetere «Sono un pezzo di m….», a un altro è stato detto che avrebbe dovuto impiccarsi.

Almeno cinque le vittime, tutti in carcere per reati sessuali oppure nei confronti di minori. Le aggressioni, stando a quanto dichiarato, sarebbero avvenute nelle singole celle ma anche in luoghi lontano dalle videocamere di sorveglianza. Gli arrestati avrebbero colpito i detenuti con guanti per non lasciare traccia dei colpi e in luoghi, come lo stomaco, dove i lividi non sono visibili. Insomma gli agenti indagati – scrive il gip Sara Perlo – si sarebbero comportati con «spudorato menefreghismo e senso di superiorità verso le regole del loro pubblico ufficio», dimostrando di «non credere nell’istituzione di cui fanno parte».

In attesa di capire di più, rimangono per ora gli atti degli inquirenti resi noti e i commenti di chi in carcere ci lavora. «La tensione è alle stelle tra gli agenti – ha dichiarato all’agenzia Sir il cappellano fra Silvio Grosso –. All’interno del carcere l’amministrazione è molto attenta a prevenire questo tipo di fenomeni, ma si sono verificate difficoltà in sezione per il sovraffollamento». D’altronde il carcere di Torino «è stato definito il più complesso d’Italia, perché vi sono presenti tutte le tipologie di circuito penitenziario e agli agenti di polizia penitenziaria è richiesto un lavoro delicato e molto faticoso perché ad esempio, alcuni circuiti non vengano in contatto con altri».

Anche il sovraffollamento pesa: nel penitenziario sono ristrette 1.550 persone, mentre la capienza è di 1.062 unità; gli agenti in organico sono 750 contro un livello ottimale di 850. E soprattutto gli educatori sono appena 14, con una media di oltre 100 detenuti ciascuno... Anche il volontariato è in difficoltà, a causa dell’elevarsi dell’età media delle persone coinvolte. «Quest’anno – continua il cappellano – è stato organizzato un corso per assistenti penitenziari volontari, con forte affluenza. Ma finché non si affronta la necessità di una riforma carceraria, i problemi restano».

E anche le reazioni di alcuni politici appaiono scontate. Da Matteo Salvini («C’è qualcuno che si fida degli spacciatori e non dei poliziotti. Nel caso di Torino non c’è un referto medico, non c’è una denuncia, c’è la parola di qualche ex detenuto contro quella di sei poliziotti») a Maurizio Marrone (Fdi), che chiede di creare un Garante regionale «che non si preoccupi solo di tutelare i detenuti».