Minori, le storie. Tiziana, la mamma in trincea. «Adesso ridatemi i miei figli»
Un marito violento con lei e coi due bambini. Il coraggio di denunciarlo. Poi la beffa dell’allontanamento e dell’affido dei piccoli al padre. «Vi racconto i miei 12 anni di calvario e perché non sono ancora finiti»
Ogni giorno 63 minori vengono allontanati dalle famiglie di origine per decisione dei tribunali minorili o su segnalazione dei servizi sociali. È sempre necessario? Una ricerca dell’Università di Padova parla di 160mila allontanamenti negli ultimi vent’anni. Dito puntato quindi su altrettanti genitori che si sarebbero rivelati inadeguati, pericolosi per l’incolumità dei propri figli, violenti, in alcuni casi anche colpevoli di maltrattamenti e abusi.
Ma è proprio così? La metà di quei 160mila casi sono stati archiviati oppure i presunti responsabili scagionati. E allora, come intervenire? È l’obiettivo della Commissione d’inchiesta approvata dalla Camera la scorsa settimana su proposta di Stefania Ascari (M5S) che intende far luce sul mondo dei minori fuori famiglia. Primo obiettivo quello di verificare l’operato delle comunità di tipo familiare che accolgono i minori. Quante sono? Circa tremila, ma il numero esatto non lo conosce nessuno. Come non si sa con precisione quanti siano bambini e ragazzi che vivono fuori dalle famiglie d’origine. Circa 12mila quelli parcheggiati nelle comunità, circa 14 mila quelli in affido familiare. Ma si tratta di stime datate perché in Italia manca - benché se ne parli ormai da vent’anni - un registro dei minori fuori famigli. Nei giorni scorsi Veronica Giannone, deputata del gruppo misto, ha reso noto di aver raccolto 572 dossier riguardanti genitori che si sentono vittime di decisioni sbagliate da parte della magistratura: figli sottratti con procedure invasive; bambini e ragazzi “detenuti” – purtroppo è il termine esatto – senza avere la possibilità di contatti né con i genitori né con gli avvocati. Quanti sono? Mistero. Sicuramente centinaia. Noi abbiamo deciso di dare voce ad alcuni genitori. Raccogliamo il loro appello per una “giustizia giusta”, per quelle centinaia di bambini allontanati che non sanno quando, come e se torneranno a riabbracciare i genitori. Non intendiamo riscrivere vicende giudiziarie complesse, né sostituirci alla magistratura. Ma soltanto segnalare un problema nell'attesa che la Commissione parlamentare d’inchiesta cominci il suo lavoro.
«Non sono una mamma coraggio. Sono solo una mamma che dal 25 agosto del 2012 lotta per i suoi figli. Prima per difenderli da un padre violento. Poi dallo Stato che vorrebbe strapparmeli giudicandomi inadeguata». Tiziana C. ha nello sguardo la sintesi di tutte le ingiustizie sopportate. La rabbia per le tante porte che le sono state chiuse in faccia. Quando decide di chiedere aiuto, dopo 12 anni di violenze subite dal padre dei suoi due figli, entra in una spirale da incubo, in progetti di protezione che si rivelano improvvisati e inadeguati. Lei ha il torto di segnalarlo, di alzare la voce.
E il “sistema” – che non sa difendere una mamma con i suoi bambini – ma sa difendere perfettamente se stesso, interviene con rigore. Via i figli. Il risultato? Dopo un calvario che non possiamo raccontare nei particolari perché sembrerebbe una sceneggiatura da film horror, Tiziana ha rivisto qualche giorno fa la figlia, mentre il figlio, nel frattempo diventato maggiorenne, soffre di una grave forma di disfunzione alimentare. Nessun tribunale, in questa triste odissea di indifferenza, le ha mai revocato la responsabilità genitoriale. Non è la sola contraddizione sopportata da questa donna che trascorre i primi 18 anni di vita in un brefotrofio. «Ho visto e sopportato orrori di ogni tipo. Ma adesso che servirebbe raccontarlo? ». Quando viene data in affido a una famiglia ha 11 anni ed è finalmente felice. Ma il sorriso diventa quasi subito smorfia amara. Il “padre” affidatario abusa di lei. Fugge, torna in brefotrofio. A 24 anni conosce un ragazzo più grande, si innamora, si trasferisce con lui a Bologna e diventa madre. Ma il partner si rivela giorno dopo giorno insensibile e violento. Arriva a picchiarla davanti ai figli. Lei per un po’ sopporta, si illude di poterlo cambiare. Siamo tra il 2011 e il 2012. «Mi sono decisa a denunciare perché vedevo il terrore negli occhi dei miei bambini». Chiede aiuto alle mamme dei compagni di scuola dei figli e arriva ad un centro antiviolenza. Viene accolta, ascoltata, poi parlano anche con i bambini: «Papà le stringe il collo, la mamma diventa tutta viola. Papà mette il coltello alla gola della mamma. Papà porta in camera la mamma stringendola con la cintura».
Da saltare sulla sedia. Niente. Tanti incontri, tante promesse. Le fanno incontrare un avvocato, un’altra donna, ma per avviare la pratica servono soldi che Tiziana non ha. E quando torna a casa è la solita, terribile, vita di sempre. Finalmente nel-l’estate del 2012 trova la forza di andare da sola dai carabinieri, stazione Mazzini di Bologna, il maresciallo che l’ascolta è accogliente, capace, umano. «Quando sente il mio racconto, ha le lacrime agli occhi». Troppo anche per uno che ne ha sentite tante. Allerta i servizi sociali, dispone con urgenza l’allontanamento di mamma e bambini accolti in una struttura protetta. Poi, dopo qualche settimana, i servizi sociali decidono il trasferimento in una casa famiglia dell’hinterland bolognese. «Nessuno ci picchiava più, ma tutto il resto non funzionava: indifferenza, cibo avariato, topi, bambini spostati di qui e di là come pacchi, senza che io potessi intervenire. Ho chiesto aiuto prima all’assistente sociale, poi al giudice minorile e mi hanno sottoposto a una visita psichiatrica non autorizzata». Lo specialista accerta che tutto nella mente di Tiziana funziona al meglio ma, visto che si lamenta e “racconta” troppo, viene rimandata alla struttura protetta. L’obiettivo? «Mi hanno spiegato che serviva un percorso di sostegno. E poi, mi dicevano, dobbiamo preparare gli incontri dei bambini con il padre». Lei tenta di opporsi. L’uomo nel frattempo è stato condannato per violenza. Sentenza confermata in tre gradi di giudizio. Ma il “sistema”, quando vuole, è inarrestabile. Altre proteste inutili, altri trasferimenti, altri servizi sociali. Quando Tiziana, dopo l’ennesima richiesta inascoltata, torna dai carabinieri per segnalare le inefficienze sopportate – per esempio la mancata attuazione del sostegno psicologico prescritto dal giudice per i figli – scatta la “punizione”. Arrivano perizie formulate senza possibilità né di confronto, né di opposizione.
Risultato? I ragazzi ritornano con quel padre da cui era fuggiti. E alla madre, dopo due anni di incontri protetti, viene impedito ogni contatto. Quattro anni che diventano un abisso di sofferenza. «'Tua figlia non ti vuole più vedere', ma sapevo che non era vero». Quando il 9 luglio scorso – grazie all’impegno dell’avvocato Patrizia Micai e di Francesco Cattani, presidente del comitato Angeli & Demoni – torna a riabbracciarla, tutto si ricompone. Ha lasciato una bambina di 12 anni, ritrova una ragazza di 16. «Mi ha raccontato delle decine di messaggi e di regali che io mandavo nella sede dei servizi sociali e che nessuno le ha mai consegnato. Delle falsità che le raccontavano su di me. Perché questo sistema che dovrebbe proteggere mamme e figli in difficoltà, ci fa tanto soffrire? Chi ha interesse che questo accada?». Questa non è una storia di fantasia. Ogni passaggio ha una data, un nome e un cognome. Tiziana si riserva al momento opportuno di presentare il conto all’autorità competente. Nella speranza, una volta tanto, di avere giustizia.
63
160mila
26.615
I ragazzi che vivono fuori famiglia (14.012 in affido familiare, 12.603 in comunità).
Dati “stimati” del 2015
91.271
I minori in carico ai servizi sociali per maltrattamenti (la metà per trascuratezza materiale e/o affettiva)