Il rogo del 2007. Processo Thyssen, «non ci saranno sconti»
Non è affatto detto che la sentenza della Cassazione porti a una riduzione delle pene per i dirigenti Thyssen. E sicuramente non ci sarà il rischio di una prescrizione delle pene. Proteste, grida, momenti di gelo e smarrimento: così era stata accolta la sentenza, arrivata giovedì verso mezzanotte, dai parenti dei sette operai torinesi morti nel rogo dell’acciaieria nel 2007. Bruciati vivi dall’olio incandescente e morti dopo giorni d’agonia per la totale assenza di misure di sicurezza sulle quali, dovendo chiudere di lì a poco lo stabilimento, l’azienda aveva deciso di risparmiare, ignorando ogni allarme. È uno dei più gravi incidenti sul lavoro in Italia nei tempi recenti e il lungo processo è destinato a fare scuola.La sentenza che annulla con rinvio le condanne in appello per i sei imputati dirigenti e responsabili della Thyssen e chiede di ricalcolarle non apre necessariamente a uno “sconto” di pena, come temevano i familiari. Tanto da urlare alla lettura del dispositivo «Vergogna, vergogna» tra le lacrime. Dalla Cassazione emerge una direzione opposta: la decisione della Corte suprema non farebbe diminuire le pene, ma potrebbe semplicemente rimodularne le entità per i singoli reati. Adesso sono dieci anni per l’ad della multinazionale tedesca, Harald Espenhahn, e tra i nove e i sette per i dirigenti Gerald Priegnitz e Marco Pucci, il direttore dello stabilimento Raffaele Salerno e i due responsabili Daniele Moroni e Cosimo Cafueri. Il manager Salerno ha detto ieri di essere «l’ottava vittima» e di «non aver fatto nulla di male».I giudici della Corte suprema li hanno riconosciuti responsabili di omicidio colposo. Ma hanno scorporato il reato di incendio colposo da quello di rimozione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro (articolo 437), di cui il primo era stato considerato un’aggravante. Ora invece verranno valutati come due reati autonomi.Spiega la Cassazione: «Abbiamo creato le condizioni di diritto perché nel nuovo processo d’appello possano essere inflitte agli imputati le pene in assoluto più alte mai irrogate per incidenti di questo tipo». E non c’è rischio di prescrizione perché con il verdetto «c’è stato il passaggio in giudicato per tutti i reati accertati». Ribadisce il pm Raffaele Guariniello: «Chiederemo l’aumento delle pene». È soddisfatto del fatto che «i giudici hanno riconosciuto che c’è stata una colpa cosciente». Ma critica la lentezza del processo: «Dopo sei anni non c’è una sentenza definitiva». Anche per questo i parenti delle vittime sono esausti: dovranno ancora attendere per vedere fatta giustizia.Davide Petrini, docente di Diritto del lavoro all’Università di Torino, spiega perché le pene non diminuiranno. In appello Espenhahn è stato condannato a dieci anni per due reati. Cinque anni per omicidio colposo, aumentati a nove perché le vittime sono sette, più un anno per l’articolo 437, semplice più aggravante. «Ora alla pena per omicidio colposo, che verosimilmente resterà invariata, si aggiunge quella per l’articolo 437, questa volta semplice, e quella per incendio colposo, che prima non c’era. I reati da due passano a tre, anche se uno ha perso le aggravanti». I tempi per il nuovo processo? «Potrebbero volerci dai sei mesi a un anno».«Aspettiamo di leggere le motivazioni della sentenza», dice la difesa. Che non si sbilancia, ma ha segnato un punto: la Cassazione ha respinto la tesi del ricorso di Guariniello che voleva veder riconosciuto il dolo eventuale. Il suo addebito per la prima volta in un processo di morti bianche, nella sorprendente sentenza di primo grado, aveva portato alla condanna all’ad a 16 anni e mezzo. La Cassazione invece ha dato ragione ai giudici d’appello, che avevano derubricato la condanna e ridotto la pena.