Anniversario. Tex Willer, antirazzista e fedele: da 70 anni valori oltre le mode
Da 70 anni la sua inconfondibile camicia gialla, con il cravattino nero che sventola quasi come un vessillo, continua a solcare le piste del vecchio West. Un “marchio di fabbrica” che i lettori hanno imparato a riconoscere e amare anche negli albi in bianco e nero, insieme ai jeans, gli stivaloni e il cappello Stetson che ripara dal sole una faccia da duro.
Tex Willer, l’eroe western nato nel 1948 dalla penna di Gianluigi Bonelli e dalla matita di Aurelio Galleppini, non è certo uno che bada alle mode. Il suo abbigliamento è lo stesso da sempre, così come i valori-guida che ispirano la sua azione di Ranger, di capo bianco della tribù indiana dei Navajos e anche di loro agente indiano (sotto questo profilo non teme “conflitti di interesse” il noto personaggio dei fumetti, proprio in virtù della sua proverbiale onestà, uno di quei valori-guida, appunto). E così, avventura dopo avventura, duello dopo duello, battuta dopo battuta (con l’inseparabile amico Kit Carson), Tex - o se preferite Aquila della Notte, il nome con cui gli indiani lo hanno ribattezzato - è arrivato domenica 30 settembre all’invidiabile traguardo dei 70 anni in edicola. Il che ne fa uno dei comics più longevi nel mondo, assimilabile ad autentici miti delle “nuvolette parlanti” come Superman o Batman.
Qual è il segreto di un successo tanto inossidabile? Forse la risposta sta proprio nella fedeltà a se stesso e ai suoi valori, che gli appassionati (ma anche gli occasionali visitatori) potranno ritrovare nella mostra allestita dal 2 ottobre al 27 gennaio presso il Museo della Permanente di Milano e in tutte le altre iniziative per l’anniversario tondo (si parla del progetto di un parco a tema a Montegrotto Terme in provincia di Padova, mentre la Sergio Bonelli Editore ha annunciato la pubblicazione di una nuova serie dedicata al personaggio da giovane, prima che diventasse un Ranger).
Valori anche molto attuali, a partire proprio dalla decisa avversione ad ogni forma di razzismo, che accompagna Tex fin dalle prime apparizioni.
Antirazzista per eccellenza. Per Willer, infatti, non conta il colore della pelle. L’unica distinzione che lo interessa è tra i buoni e i cattivi, che siano bianchi, neri, cinesi o indiani, non ha alcuna rilevanza. Amico degli indiani, fratello di sangue del capo Apache Cochise (spesso le avventure lo portano a contatto con personaggi storici e lo stesso Kit Carson lo è), indefettibile difensore dei diritti dei natives dalle mire di politici corrotti, agenti indiani disonesti, proprietari terrieri che vorrebbero impadronirsi delle loro riserve, Tex non esita però a punire severamente le teste calde, cioè quei guerrieri che con le loro scorrerie temerarie mettono a repentaglio la “pax indiana” faticosamente raggiunta. Il simbolo di questo speciale rapporto con i nativi d’America (antesignano persino del cinema western non più ispirato al motto “il solo indiano buono è un indiano morto”) è il matrimonio con la bella Lilith, la figlia di Nuvola Rossa, il sakem dei Navajos, del quale erediterà la leadership e la residenza nella riserva indiana.
Fedele alla famiglia e agli amici. Proprio quel matrimonio, dal quale è nato Kit, il figlio unico di Tex, è uno dei tratti distintivi del personaggio. Lilith muore vittima del vaiolo, propagato nella tribù da mercanti senza scrupoli (contro i quali si abbatterà implacabile la sua vendetta), ma Tex non avrà mai più altre donne, restando anche da vedovo sempre fedele al suo grande amore. La sua famiglia è quella formata dallo stretto legame con i suoi pards: Kit Carson, il navajo Tiger Jack e naturalmente Kit, figlio adorato, non meno in gamba del padre, chiamato così in onore dell’amico di sempre. Altrettanto forte, anche se segnata dalla distanza geografica e dalla minore frequenza con cui appaiono nelle sue avventure, è l’amicizia con l’egiziano trapiantato in Messico El Morisco, il messicano Montales, il trapper Gros-Jean, il colonnello delle Giubbe Rosse canadesi Jim Brandon, e il capo della polizia di San Francisco Tom Devlin. Quando qualcuno di loro chiama, Tex e i suoi pards non esistano un attimo a percorrere migliaia di chilometri per accorrere in loro aiuto, affrontando, oltre ai disagi del viaggio, insidie di tutti i tipi.
Inarrestabile contro i malvagi e difensore dei deboli. Dopo un breve passato da fuorilegge (per vicende legate alla sua famiglia di origine), Tex diviene un Ranger e da quel giorno è un costante martello per i delinquenti di ogni risma (“puro veleno”, lo definiscono non a caso i nemici). A volte i suoi metodi sono poco ortodossi, è vero, ma la sua è una giustizia sostanziale, che rifugge dai lacci e lacciuoli dei codicilli, per andare dritto al sodo: assicurare alle legge i cattivi, difendere gli oppressi e far trionfare il diritto, anche a costo di usare i “pentiti” (non è infrequente che lasci andare un malvivente dopo avergli spremuto notizie utili, purché questi prometta di cambiare vita). Veloce con la pistola (ma spara solo per legittima difesa), con i pugni e con il cervello, Tex unisce in sé una mira da cecchino, la forza un Mike Tyson e la capacità investigativa di un Hercule Poirot. Insomma l’amico poliziotto che tutti vorremmo avere a disposizione. Contro la mafia, la corruzione o anche solo contro la criminalità comune.
La religione di Tex. Più complesso il rapporto dell’eroe con la trascendenza. Che per Tex la vita non finisca con la morte lo si deduce dal frequente riferimento dei dialoghi all’“inferno che attende i malvagi” o al “timore” di finire “sopra una nuvoletta a suonare l’arpa” quando soprattutto il pessimista Kit Carson paventa i pericoli insiti nelle molteplici avventure che li vedono protagonisti. Non si può però dire che il Ranger sia un praticante. La sua è piuttosto una “religione laica”, sostenuta dalla lotta per il bene e dai valori che abbiamo enumerato. Valori proiettati anche nell’aldilà. Non stupisce dunque che il suo acerrimo nemico (più volte sconfitto, ma mai del tutto debellato) sia Mefisto, all’inizio illusionista di talento, ma poi “convertitosi” alle oscure arti della magia nera. Per Tex infatti il male è male, sia se compiuto su questa terra, sia soprattutto se evoca pratiche diaboliche e inquietanti.
Forte anche nell’ironia. Non va infine sottovalutato, tra i motivi del successo, il simpatico mix tra momenti drammatici e altri all’insegna di una pungente ironia. Come i battibecchi con Carson, gli scherzosi rimproveri all'amico attratto dalla bellezza muliebre ("vecchio reprobo"), i richiami al suo pessimismo e alla sua età avanzata, il buon appetito a tavola ("una bistecca alta quattro dita, una montagna di patatine fritte e una cascata di birra", il suo menu preferito). Tex è insomma di buona compagnia, una persona simpatica e intelligente, che ama la vita e la vive intensamente.
Un mondo in bianco e nero? Si potrebbe obiettare che in definitiva è un mondo in bianco e nero, quello dell’eroe bonelliano. E non solo perché questo è l’abito prevalente degli albi in edicola (il colore segna numeri speciali, di solito quelli delle centinaia tonde), ma soprattutto perché nella visione di Tex bene e male sono nettamente distinti, così come buoni e cattivi, torto e ragione.
Un mondo ingenuo e primitivo dunque? In realtà a guardare più a fondo, vi è riflesso piuttosto il bisogno di ognuno di noi di avere punti di orientamento certi nel “far west” (è proprio il caso di dirlo) della complessità quotidiana. Una stella da seguire insomma. Quella dell’inossidabile Ranger in fondo incarna valori più longevi di 70 anni e di tutte le mode.