Delusione. Il Terzo Settore contro il tetto alle spese previsto nella manovra
La legge di Bilancio «delude» i rappresentanti del Terzo settore, che la ritengono «insoddisfacente sotto diversi punti di vista». In particolare, a preoccupare le imprese non profit è l’articolo 112 che estende anche alle realtà che operano nel sociale le limitazioni alle spese degli enti che ricevono un finanziamento pubblico. Il che significa, come si legge nel testo della manovra, che non potranno sostenere «l’acquisto di beni e servizi per un importo superiore al valore medio sostenuto per le medesime finalità negli esercizi finanziari 2021, 2022 e 2023». Una misura che Vanessa Pallucchi, portavoce del Forum Terzo settore, giudica «inaccettabile oltre che incomprensibile», dal momento che «le spese realizzate dal Terzo settore sono investimenti in attività sociali – argomenta – che producono coesione e offrono servizi alle persone più fragili, anche laddove manca lo Stato. Imporre un tetto a questi investimenti, di fatto ferisce e indebolisce tutto il Paese e frena lo sviluppo di un’economia sociale».
Ma il punto non è solo l’articolo 112, perché il Forum lamenta anche l’assenza di norme ritenute fondamentali per il comparto, come l’aumento del tetto al 5 per mille o il rifinanziamento del Fondo per il contrasto alla povertà educativa. Ma pesa anche il taglio alle detrazioni fiscali per le donazioni.
Ci sarebbe ancora margine per rimediare, ma il governo ha ormai blindato il testo ed entro stanotte dovrebbe arrivare la fiducia alla Camera. La partita in commissione Bilancio si è chiusa definitivamente, anche grazie a una sovracopertura di circa 100 milioni di euro spuntata all’ultimo momento. Un surplus di risorse mai riscontrato prima d’ora nella storia repubblicana, che permetterà di proseguire i lavori secondo calendario. Nessuno, peraltro, sembra aver accampato pretese sul tesoretto che, a quanto pare, confluirà nel conto di controllo, uno strumento previsto dal Piano strutturale di bilancio per abbattere il deficit.
Il testo dovrebbe arrivare in Senato tra Natale e Capodanno, ma le polemiche non sono mancate neanche ieri, complice una defaillance del governo. Alle 8 di mattina infatti, orario programmato per la discussione in Aula, non c'era nessun esponente della squadra di Giorgia Meloni, quando avrebbe dovuto presenziare almeno un rappresentante del Mef. Non è chiaro di chi sia la responsabilità, ma c’è stato di sicuro un deficit di comunicazione e tanto è bastato alle opposizioni per attaccare a testa bassa. Un coro unanime che ha costretto il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Luca Ciriani, a scusarsi «per il ritardo con cui sono stati avviati i lavori». Anche Giancarlo Giorgetti e Federico Freni hanno sottolineato come l'opposizione faccia bene il proprio dovere, «ma le polemiche - ha tagliato corto il sottosegretario al Mef – non ci appartengono» e l’importante «è portare a casa il risultato» evitando l'esercizio provvisorio.
Sempre sul fronte governativo va registrato un altro piccolo passo falso, che ha obbligato la maggioranza a corredare il testo della manovra di una correzione contenente un requisito per accedere all'Ires premiale, ovvero il riferimento alla percentuale minima del 24% degli utili del 2023 accantonati destinata agli investimenti. Non proprio un particolare rispetto a una misura ritenuta fondamentale dall’esecutivo (e da Confindustria).