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Amatrice. Il vescovo di Rieti: il ponte più urgente da costruire è l'Italia centrale

Pino Ciociola, inviato ad Amatrice martedì 24 agosto 2021

Le note del silenzio si aggrappano al cuore, mentre il premier lascia una corona di fiori sul monumento che ricorda ad Amatrice i suoi morti, uccisi stanotte, cinque anni fa. Poco dopo inizia la Messa, anche questa per non dimenticare. Al campo sportivo amatriciano, sotto il sole, con tanta gente e con lo stesso premier Mario Draghi.

Monsignor Domenico Pompili, vescovo di Rieti, quella notte corse qui. Scavò con chi aveva perso tutto. Adesso spinge lo sguardo "su queste 'terre mosse' dell’Appennino che, dopo anni di incertezza e di ritardi, sembrano avviate finalmente alla loro ricostruzione".

Ma non basta. Ci si accorge - va avanti nella sua omelia - che "occorre 'costruire' un nuovo rapporto tra l’uomo e l’ambiente: non limitarsi, cioè, a riprodurre le forme del passato, ma lasciarsi provocare dalla natura, che è creativa e aperta al futuro".
Bisogna ripensare questi borghi del Centro Italia, "perché sono oggi luoghi di grandi potenzialità". E potremo farlo - dice Pompili - "se stipuleremo un vero e proprio 'contratto' tra la città e la montagna", tenendo conto dell'"enorme debito, pensiamo all’acqua potabile, all’aria pulita, al cibo di qualità, al legno degli arredi, che le città hanno maturato verso le aree interne e i loro piccoli insediamenti".

È arrivato il momento di onorare questo “debito” con un progetto di reciprocità economica. È necessario alla transizione ecologica vedere riconosciuto il debito straordinario che avremo verso chi, riabitando i piccoli centri e i borghi, si prenderà cura di un’agricoltura di qualità, dei boschi, del mare, dei laghi, delle coste, del paesaggio ancora bellissimo dell’Italia. Non abbiamo bisogno di nuovi presepi, ma di piccoli centri attivi, a presidio di un territorio ancora straordinario e attraente per l’autenticità dei luoghi.

Draghi ascolta. Annuisce. Infine il vescovo fa una proposta: "Il 'ponte', forse il più urgente, da costruire nel nostro paese si chiama l’Italia centrale". Cioè "lasciare che qualche centinaio di chilometri tenga ancora oggi separati l'Adriatico e il Tirreno è un’imperdonabile leggerezza". Così lo chiede chiaro: "Si tratta di decidere se la 'Ferrovia dei due mari' sia un’idea da cestinare o da progettare e realizzare qui, ora e subito".