In cima alla montagna che sovrasta la frazione San Pio ci sono tre croci di ferro. Una leggenda colloca lassù la villa romana in cui si ritirò Ponzio Pilato dopo il verdetto che cambiò la Storia. La realtà del terremoto, invece, ha lasciato crepe ben viibili nei muri di Fontecchio, uno dei centri storici più belli d’Abruzzo: il 65% degli edifici è inagibile e gran parte della popolazione vive in tenda. Un’altra leggenda avvisa chi si inerpica su questo calvario, che in questa stagione ti inebria con il profumo delle ginestre in fiore, di trovarsi addirittura nel paese natio del prefetto che «se ne lavò le mani» e il timore degli abitanti di Fontecchio è che il governo faccia esattamente lo stesso: per mezzo punto di scala Mercalli il paese è stato escluso dal decreto che individua il cratere dei 49 comuni aquilani ammessi a godere delle agevolazioni previste per le aree terremotate. Ne fanno parte tutti i centri che lo circondano, rappresentati nel centro operativo misto di San Demetrio, una circostanza che alimenta livide recriminazioni - «Ho una figlia cardiopatica, non posso rientrare in casa e ho dovuto affittare un appartamento a mie spese a Viterbo, non posso certo tenerla in tenda» protesta Annamaria Calì e taglia le gambe a ogni progetto di ripresa. È rinviato sine die quello dell’Albergo Diffuso che avrebbe messo a reddito il ricco patrimonio di dimore trecentesche e vetusti pagliai, ristrutturati senza badare a spese per inseguire il sogno di un nuovo Medioevo. Quando altrove si crepava di fame e di pellagra, infatti, l’artigianato e il mercato della lana facevano del borgo vestino la capitale della valle Subequana: intorno alla fontana trecentesca e sulle rive dell’Aterno vivevano in cinquemila; l’unico problema dei Muzi e dei De Marchis, le famiglie più ricche del paese, era quello di combinare un buon matrimonio con qualche quarto di nobiltà. Oggi in casa De Marchis abita Loredana Rampini. O, meglio, ci abitava: i muri portanti mostrano sinistre ferite e gli architrave in travertino risultano spezzati. «È inagibile come tutte le costruzioni dei secoli scorsi, quelle che attiravano i turisti da tutta Europa e su cui stavamo investendo» conferma Primo Benedetti, assessore di Fontecchio. Anche lui ha creduto nell’Albergo Diffuso, che ha reso ricco e famoso Santo Stefano di Sessanio, sulle falde del Gran Sasso. Come dargli torto? Prima del terremoto, il turismo rappresentava l’unica scommessa plausibile del paese dei leoni, che nello stemma civico sono due come i borghi che si fusero per condividere acqua e commerci. A distanza di tanti secoli, di affari se ne fanno davvero pochi sotto il monte Sirente. La metà dei 400 iscritti all’anagrafe lavora per l’opera Santa Maria della Pace, una maxistruttura assistenziale parzialmente gestita dal Policlinico Gemelli. «Prima del 6 aprile - precisa però Benedetti - eravamo riusciti a convincere alcuni giovani a insediare nuove botteghe artigiane e ristoranti ma l’esclusione dal decreto ci trasforma in terremotati di serie B: le nostre attività si sono fermate e non sono coperte dallo scudo fiscale, assicurato invece agli altri comuni dell’area danneggiata». Lamentano la medesima ingiustizia i comuni che si affacciano sul Reatino, pari- menti tagliati fuori dalla zona franca. Anche su Catipignano, Cagnano Aterno e Montereale si è abbattuta la scure della 'giustizia' sismica: se non viene rilevata un’intensità di almeno sei punti della scala Mercalli, sei fuori dai 'benefici' del decreto e ti tocca pagare bollette, Ici, Tarsu e contributi dei dipendenti come se abitassi a Cortina. A Fontecchio, il 95% delle attività è fermo e le stesse doglianze provengono dall’Alto Aterno, dove peraltro si vive con qualche patema in più: ieri, sono tornati sotto le tende i 400 abitanti di Castiglione, Verrico e Colle Verrico, le frazioni di Montereale colpiti nelle ultime ore da 21 scosse. Il problema dei comuni esclusi dalla perimetrazione del sisma è ben noto alla Protezione civile, che nei giorni scorsi ha riaperto il dossier per capire dove, esattamente, finissero le pretese e iniziasse il diritto. Risultato: 17 sindaci e 1.500 abitanti della valle Peligna sono scesi in piazza a Sulmona per denunciare la medesima «ingiustizia». Senza troppi giri di parole, i funzionari di Bertolaso hanno fatto sapere che non avalleranno un altro scandalo Irpinia, dove, di revisione in revisione, esplose l’elenco dei comuni ammessi alle agevolazioni per i danni da terremoto. Il sindaco di Montereale, tremila anime e più di cento chilometri quadrati di territorio comunale, tuttavia, insiste: vuol essere assimilato a Campotosto. «Siamo inseriti nello stesso Com di Pizzoli, abbiamo diverse tendopoli e 300 edifici inagibili ed è stato esaminato solo il 10% degli immobili; una frazione ha addirittura l’80% di case off limits e la percentuale complessiva di danni è superiore a quella di altri centri inclusi nella zona franca » rivendica il sindaco Lucia Pandolfi, ribattezzata il «sindaco guerriero». Paventa un «terremoto sociale» e lo descrive così: «la stessa farmacia serve il giovane la cui abitazione non ha subito danni, ma che è esente dal ticket perché abita in un centro del cratere, e l’anziano di Montereale, che ha la casa distrutta eppure deve pagare». Ancora: «ospitiamo negli alloggi sfitti i terremotati dell’Aquila che hanno case di categoria E ma i nostri sfollati, pur avendo subito lo stesso danno, restano in tenda…» Fiorangelo Benedetti intende fidarsi comunque: « Bertolaso ci ha promesso che saranno effettuati i necessari sopralluoghi e sarà rivista la nostra posizione. Voglio crederci - afferma il sindaco di Fontecchio perché i dati sono più che sufficienti a includerci nel cratere senza che questo significhi dissipare risorse pubbliche. Noi lottiamo per i nostri diritti, oggi e domani, quando inizierà la ricostruzione». Fa paura l’onda lunga di quest’esclusione: Fontecchio non è Onna nè L’Aquila, ma anche qui hanno ceduto muri antichi e colonne di cemento armato, la parrocchiale è lesionata, le vie del centro storico, vietatissimo in quanto pericolante, sono un arabesco di crepe e piccoli crolli. Ad avventurarvisi, scopri che, ancora una volta, ha resistito il Sant’Antonio affrescato prima del rovinoso sisma del Settecento, ma, pochi passi più in là, la volta rivestita di fuligine attende solo un’altra scossa per rovinare sul vecchio callaro, il pentolone murato dove si bolliva il vino e tutto il resto. Uscendo dal paese, t’imbatti nel convento di San Francesco e scopri che mezza facciata è senza copertura, come se l’avessero strappata via. Il custode, onesto, ti informa che non è colpa del terremoto ma dei committenti: non la completarono mai, perché non si misero d’accordo su chi dovesse apparire nelle decorazioni e soprattutto pagarle. Il Comune ha affidato il complesso alla cooperativa Sirente, giovani ristoratori che ne hanno fatto un punto di riferimento per feste e matrimoni. Hanno già iniziato i lavori di consolidamento e il ristorante riaprirà in settimana, ma, segnala il direttore Enzo Ciancona «la navata è crepata. Se non si interviene subito, un’altra scossa come quella di lunedì e viene giù».