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OLTRE LA CRISI. Terminal off shore per liberare Venezia

Francesco Dal Mas mercoledì 7 agosto 2013
La ripresa c’è, si vede. Anzi, si pesa. A Venezia ha ormeggiato la nave oceanica Ten Jin Maru, la più grande portarinfuse che mai sia approdata allo scalo lagunare. A Trieste, dopo l’aumento a fine luglio delle Unità di trasporto container del 13,03%, ecco un altro record: tra gennaio e giugno hanno attraccato ai pontili della Società italiana oleodotto transalpino (Siot) 244 grandi portacontainer, 73 in più dello scorso anno. La fine del tunnel, insomma, si vede dai porti. Ecco perché Venezia sta cercando la soluzione al passaggio continuo in laguna di navi container e petroliere e portando avanti il progetto di uno scalo off shore a circa otto miglia dall’imbocco della Bocca di Malamocco. Superata  la Valutazione di impatto ambientale a livello regionale, la Piattaforma d’altura può ora contare anche sul via libera della commissione nazionale. Il progetto, il cui costo è di circa 2,8 miliardi di euro, prevede una diga foranea a forma di C, della lunghezza di circa quattro chilometri, su un fondale naturale di venti metri, orientata per proteggere il porto dalle onde provenienti da Nordest e Sudest. L’off shore permetterà il simultaneo ormeggio di tre navi tanker dalle quali i prodotti petroliferi saranno scaricati mediante pipeline con terminale all’Isola dei Serbatoi di Porto Marghera. La rete sarà lunga 27 chilometri (16 in mare e 11 in laguna) e formata da tubi di acciaio posti sul fondale (marino e lagunare) e attraverserà il litorale di Malamocco e la laguna con trivellazioni orizzontali teleguidate che comporteranno anche la realizzazione di sei isole artificiali provvisorie. Il Terminal avrà anche una banchina per i container, lunga mille metri e larga duecento, il cui molo sarà in grado di ospitare due navi oceaniche. L’off shore movimenterà ogni anno sino a un milione di Unità di trasporto container.«Finalmente l’obiettivo ambientale fissato con la Legge speciale per Venezia del 1974 di estromettere i traffici petroliferi dalla Laguna oggi, dopo oltre 40 anni di tentativi frustrati, potrà essere raggiunto», commenta soddisfatto Paolo Costa, presidente dell’Autorità Portuale e già sindaco di Venezia. Questo progetto, aggiunge, permetterà di perseguire più di un obiettivo di interesse nazionale, europeo e nordestino: «In primis l’estromissione dei petroli dalla Laguna; ma poi l’aumento di quella  scala di attività che farà dell’Alto Adriatico un gateway vincente da Sudeuropa centrale e orientale». E questo perché, oltre al rinnovo del porto di Venezia, stanno affrontando adeguamenti analoghi gli altri scali del sistema Alto Adriatico, costituito da Ravenna e dai porti Napa (North Adriatic port association), cioèTrieste, Capodistria e Fiume, oltre che Venezia. In questo modo - spiega il governatore Luca Zaia - si accorceranno di quattro-cinque giorni i tempi di trasferimento delle merci che giungono dal Canale di Suez e che raggiungeranno il Centro e il Nordeuropa lungo il Corridoio Baltico-Adriatico. L’off shore al largo di Malamocco  consentirà, inoltre, la messa in valore, come si dice in gergo, delle infrastrutture di tutto il Nordest: dai terminal portuali di Marghera, Chioggia e Porto Levante, dall’interporto di Padova a quello di Verona, dall’asta idroviaria da Venezia a Padova a quella padana fino a Rovigo e Mantova. Un anno fa c’è stato un primo finanziamento da parte della Commissione europea: 770mila euro per lo studio del Porto d’altura. Con la legge di stabilità 2013, sono stati stanziati altri 100 milioni. A piccole vogate, dunque, si va avanti. D’altra parte, anche il Mose, che costa il doppio, sembrava impossibile e invece sarà terminato nel 2016. Intanto la Regione Veneto ha accantonato 44 milioni come fondo-risarcimenti per i pescatori nel caso la grande opera provochi danni all’attivtà.