Una tela bianca. Tempere e pennelli con cui raccontare le sfumature di un mondo interiore scosso dalla malattia. Oggi l’argomento della lezione è il cielo, ma non quello illuminato dalle stelle in una notte d’estate. Un agglomerato caotico, invece, di mille colori che assomiglia più a una nebulosa, in cui ognuno può disegnare la propria stella. Aula P12 del Campus Biomedico di Roma. È qui che la pittura approda in corsia, per dare sollievo ai malati oncologici con un laboratorio diretto dall’artista (e appassionato d’astronomia) Andrea Boldrini, in cui per un’ora la terapia "classica" scivola in secondo piano. In rilievo, al contrario, ci sono le emozioni e il divertimento di cimentarsi per la prima volta con l’arte. Claudia è seduta quasi in fondo alla sala. Eppure il suo medico la descrive come la più agguerrita di tutti nel lottare contro il tumore al seno. «A 32 anni non pensi che il cancro colpisca te - si passa la mano tra i capelli corvini accorciati dalla chemio - pensi di avere tutta la vita davanti». Poi un giorno ti trovi a doverci convivere. «La pittura mi aiuta a non pensare, a rilassarmi almeno per po’», dice mentre si accinge a disegnare la sua stella. Una stella cometa blu, come quella del presepio, quasi di buon auspicio per l’arrivo di una buona novella.Il più titubante è Cesare. A 72 anni non comprende facilmente come si possa sconfiggere il suo tumore ai polmoni anche con la pittura o la musicoterapia. Poi, però, prende lo stesso un pennello e sul lato più alto della tela disegna, in giallo canarino, una stella. La più luminosa di tutte. A fine laboratorio ci troviamo di fronte un uomo sorridente, che prova a spiegare ciò che sente: «È stato bellissimo». Tanto più per una persona che soffre «e tende a chiudersi in se stessa, perché si ha paura di lasciare questo mondo». Con la pittura invece, continua Cesare, si focalizza l’attenzione su qualcosa di positivo, si tirano fuori le emozioni «provando a lasciare un pezzo di te agli altri: un quadro».Ce se sono dieci di dipinti nella hall d’ingresso del Policlinico universitario di Trigoria. Sono alcune delle opere a cui i pazienti s’ispirano. Fanno parte della mostra itinerante Enérgeia di Boldrini esposte fino al 30 agosto all’interno dell’ospedale. Una tensione narrativa tra mondo sensibile e spiritualità dell’anima, che tenta di trasmettere anche ai malati che si accingono a parlare di sé con in colore. Quel che è vero è che non si può curare chi non si conosce; per questo più «il rapporto medico-paziente è profondo, meglio è» - spiega il presidente del Campus Felice Barela, inaugurando l’esposizione. In fondo le <+corsivo>medical humanities<+tondo> dimostrano che tutte le espressioni artistiche in cui l’uomo esprime il proprio Io, aggiunge, «hanno grandi potenzialità terapeutiche».In epoca di tagli, insomma, la cura dell’anima sembra non ridurre il suo spazio. «Noi ci occupiamo di persone, non solo di malattie» ricorda difatti il direttore generale del Policlinico Gianluca Oricchio, ancor più nel dolore, quando «i rapporti umani acquisiscono maggiore importanza». È alla sua prima volta di artista in ospedale anche Andrea Boldrini: «Un’esperienza toccante - ammette il pittore, fratello della presidente della Camera Laura Boldrini - per giocare su certi contenuti eziologici dando sollievo, senza appesantire», a chi è già gravato dalle terapie.