Scontro. Tempesta 5 stelle, gli espulsi sono 40 ma i probiviri resistono a Crimi
Da sinistra, il ministro degli Esteri Luigi Di Maio e Vito Crimi, suo successore come capo politico del Movimento 5 stelle
Una e-mail per... dirsi addio. Poche righe in cui, come già successo per i dissidenti a Palazzo Madama, il Movimento 5 stelle ha sbattuto la porta in faccia a quanti due sere fa hanno votato contro o si sono astenuti a Montecitorio sulla fiducia al governo Draghi. In dissenso con la linea votata dagli iscritti e «pregiudicando l’immagine e l’azione politica del nostro gruppo parlamentare», sono le parole usate dal capogruppo alla Camera Davide Crippa. Una scelta che, tra Camera e Senato, adesso in totale vede perdere 40 pezzi nei gruppi parlamentari: ai 35 voti contrari, si sono aggiunti anche 5 assenti ingiustificati a Montecitorio. Numeri che valgono, potenzialmente, un nuovo gruppo autonomo nei rispettivi rami del Parlamento (magari con il simbolo Idv al Senato).
Mentre sono ancora in stand-by i 6 deputati e i 6 senatori che non hanno risposto alla chiama; per loro si attende di conoscere le "giustificazioni" che addurranno prima di procedere. Il regolamento, a quanto pare, non rende automatica l’espulsione anche dal Movimento, perché qualsiasi decisione disciplinare (sempre da regolamento) deve essere fatta passare attraverso il comitato dei probiviri.
Una terna di "giudici" disciplinari pentastellati, (la ministra Fabiana Dadone, Jacopo Berti e Raffaella Andreola) che adesso frena sulla decisione di allontanamento. In particolare è Andreola a prendere posizione pubblicamente sui social. È «opportuno sospendere in questo momento tutte le attività di ordinaria competenza e spettanza del collegio, quali richiami, sospensioni ed espulsioni degli iscritti e portavoce del Movimento – scrive – in attesa che vengano ricostituiti, secondo il mio punto di vista, in maniera completa, nel pieno dello svolgimento delle funzioni oltre che nel rispetto dei contrappesi associativi di tutti gli organi del M5s».
C’è chi poi ventila l’ipotesi di dimissioni di Andreola e Berti, che di fatto bloccherebbero la decisione presa dal capo politico Vito Crimi contro i malpancisti. Ed è proprio Crimi a contrattaccare, chiedendo di serrare le fila: «Chi in questi due giorni non ha votato la fiducia ha contribuito al tentativo di frantumare il gruppo».
Da parte loro, gli espulsi sui social tengono la posizione e rivendicano la loro scelta. Non nascondendo certo il rammarico. «Qualcuno per assicurarsi la permanenza al governo ha sacrificato il Movimento e io non ci sto», attacca il deputato Giovanni Russo. E anche chi è rimasto nel Movimento, come Paola Taverna e l’ex ministra Nunzia Catalfo, adesso sottolinea la difficoltà di andare avanti «senza i compagni di battaglie» invitando all’unità. In particolare è la grillina vicepresidente del Senato a precisare che pure chi ha votato no a Draghi «è una parte fondamentale di M5s».
Certo è chiaro che se non si porrà un freno alla logica delle espulsioni "in punta di regole", la guerra di carte bollate sarà solo all’inizio. Caso emblematico, infatti, è quello della deputata Maria Edera Spadoni, vicepresidente della Camera. Ma la sua motivazione non appare ideologica. «In quel momento presiedevo l’Aula e quando presiedo non voto mai», spiega la parlamentare emiliana, che sottolinea di non essersi mai fatta sostituire quando ha presieduto l’Assemblea. E, poi, fa intendere che il suo sarebbe stato un sì, perché «il voto su Rousseau si rispetta».
La storia sulla sorte politica degli espulsi è tutta da scrivere, però. Ad allontanare l’idea di diventarne il portavoce è l’ex deputato Alessandro Di Battista, che prima attacca Draghi sul silenzio riguardo il ponte Morandi e poi rimanda al mittente le accuse di suoi ex compagni di partito: «Sono uscito dal Movimento, vivo la mia vita, non mi occupo di correnti, scissioni, nuove forze politiche. Ho solo idee diverse dalle vostre. Rispettatele senza comportarvi da infantili avvelenatori dei pozzi».