Teatro. Spettacolo sul gender per le scuole: genitori firmano per evitarlo
Una scena di «Fa'afafine-Mi chiamo Alex e sono un dinosauro»
Non sappiamo se Alex sia un bambino affetto da disturbi dell’identità di genere oppure se la sua patologia riguardi la differenziazione sessuale. Nel primo caso siamo nell’ambito delle sofferenze psicologiche, nel secondo dell’endrocrinologia pediatrica. Situazioni preoccupanti che, va però detto, sono per fortuna rarissime. Meno di tre casi su cento per i disturbi identità di genere. Un neonato su cinquemila per i disordini dello sviluppo sessuale. Parliamo comunque di problemi molti seri che – senza l’intervento di un’equipe di specialisti – possono incidere in modo profondo sullo sviluppo psicofisico dei bambini come Alex. Disagi, conflittualità e sofferenze vanno comunque messe in conto. Una recente ricerca dell’Università di Firenze su adolescenti colpiti da Dig (disturbi dell’identità di genere) ha spiegato che l’83% ha avuto pensieri di suicidio, il 54% lo ha tentato, il 46% è dedito alla prostituzione, il 21% ha tentato l’automutilazione.
Ci siamo dilungati un po’ con questi dati scientifici ma era indispensabile per inquadrare il problema in modo non ideologico e non emozionale. Perché questa è la premessa minima che – opportunamente adatta ai vari livelli di comprensione – andrebbe fatta nelle scuole prima di portare bambini e ragazzi ad assistere a 'Fa’afafine - Mi chiamo Alex e sono un dinosauro'. Spettacolo teatrale in cui un bambino vive problemi identitari che lo portano a credersi un giorno femmina e l’altro maschio. E che, proprio per la confusione che ha in testa, non sa se incontrare il suo amico Eliott vestito da principessa o da giocatore di calcio. Un esempio simpatico per insegnare ai bambini la tolleranza e prevenire episodi di bullismo? No, solo lo sfruttamento di una sofferenza psicologica in nome di quell’utopia che si chiama autoderminazione dell’orientamento sessuale e che neppure la finzione teatrale riesce a strappare alla sua dimensione patologica.
Alex non è un «bambino speciale », un gender creative child come vorrebbe raccontare il regista e autore dello spettacolo, Giuliano Scarpinato. Nella realtà i bambini come lui sono soltanto piccoli alle prese con un disagio profondo che molto spesso, nei casi almeno di indifferenziazione sessuale, non ha altri sbocchi se non la sala operatoria. Prima di cantare le gioie del terzo sesso o del 'genere fluido' sarebbe il caso di consultare qualche specialista di pediatria o qualche psicologo coraggioso – che non tema di essere censurato dal suo ordine professionale per discriminazione di genere – e verificare se l’eventualità sia davvero così auspicabile e così lieve. Parliamo di 'Fa’afafine - Mi chiamo Alex e sono un dinosauro' perché da lunedì prossimo la rappresentazione – che già da un paio d’anni suscita polemiche e interventi risentiti da parte dei genitori – riprende il suo tour in giro per l’Italia, 23 appuntamenti da Udine a Lucca. E, presentandosi come spettacolo per le scuole, saranno migliaia i ragazzi dagli 8 ai 16 anni che lo vedranno.
Per bloccare l’iniziativa è partita una petizione (si può aderire su www.citizengo. org) che ha raccolto in pochi giorni 50mila firme. Ieri anche l’assessore alla scuola della Regione Veneto, Elena Donazzan, ha chiesto l’intervento del ministro Fedeli. Obiettivo quello di responsabilizzare i genitori e invitare gli insegnanti a non accostarsi a un tema così difficile e così complesso senza una preparazione accurata. Non è in discussione il valore artistico dello spettacolo, ma un problema serio come quello dell’identità sessuale non dev’essere banalizzato e neppure 'offerto' ai ragazzi come occasione per superare gli stereotipi di genere. Almeno non prima di aver stabilito quali sono gli stereotipi sulla base di un’antropologia rispettosa della complementarietà maschile- femminile.