Covid. Tasso di positività allo 0,8% e una valanga di tamponi, «ma così sono inutili»
Persone in coda per il test del tampone rapido davanti a una farmacia in Porta Venezia, a Milano
La sensazione è che ci abitueremo, nelle prossime settimane, al nuovo primato tutto italiano: 662mila tamponi in un giorno martedì, 485mila ieri (con 3.702 positivi e 33 morti, per un tasso di positività dello 0,76%) sono cifre che ci avvicinano ai record toccati, in Europa, solo dalla Gran Bretagna e che, oltre a misurare pragmaticamente il “peso” della scelta operata sul Green pass dal governo, cambia radicalmente volto all’andamento dell’epidemia nel nostro Paese. Perché è evidente, cercare di più il virus dovrebbe aiutarci – almeno sulla carta – anche a trovarlo di più, nel nome di quel sacrosanto tracciamento che per due anni è stato invocato da larga parte del mondo scientifico e che mai è stato del tutto acquisito. Pensare che in pieno lockdown, quando i camion di Bergamo portavano altrove i troppi morti e la gente soffocava nelle case senza nemmeno riuscire a parlare al telefono con un medico, di tamponi al giorno ne facevamo a malapena 30mila: mancava tutto, allora, non solo le mascherine, ma anche le ben più complesse strumentazioni richieste ai (pochi e sguarniti di personale) laboratori di analisi sparsi qua e là lungo lo Stivale. Poi, acquisite quelle, a mancare sono stati i reagenti e la potenza di fuoco diagnostica del Covid ha arrancato ancora. Finché, oltre ai complicati tamponi molecolari, sulla scena delle analisi sono spuntati anche i test antigenici, o “rapidi”, meno sensibili e precisi dei primi e tuttavia veloci nella risposta (che è immediata), perfetti per i drive-through e un controllo di massima sui grandi numeri di persone coinvolti dalle possibili catene di contagio.
DeI milione e passa di tamponi processati in due giorni, quasi l’80% erano antigenici: un dato legato al fatto che in prima linea, a farli, non ci sono più i laboratori ma le farmacie, perché a chiederli non ci sono più gli italiani che sospettano d’essere contagiati ma quelli che non si sono vaccinati e vogliono andare a lavorare. «E qui si pone il problema» spiega il virologo dell’Università Bicocca di Milano Francesco Broccolo, secondo cui al numero enormi di test effettuati non corrisponde affatto un tracciamento più puntuale dei casi, anzi. «Intanto perché a sottoporsi ai tamponi non è un campione randomizzato di popolazione composto, cioè, da bambini, giovani, adulti e anziani, ma soltanto la porzione di persone in età lavorativa non vaccinate». Un gruppo ristretto, non selezionato in base a criteri scientifici o problemi sanitari, che poco ci dice sulla reale diffusione del virus nella totalità della popolazione.
Tra le botteghe di Napoli compaiono le prime statuine del Presepe con il Green pass - Fotogramma
Altro limite, quello legato proprio ai test rapidi, che da un lato non prevedono come i molecolari l’analisi del genotipo del virus alla ricerca di possibili, eventuali nuove varianti («non è detto che la Delta, pur diffusa ormai al 99%, resti l’unico ceppo in circolazione e dovremmo vigilare»), dall’altro non sono così sensibili: «Parliamo, per restare ai numeri, di una risposta in termini di casi positivi trovati dello 0,8% contro il 2% dei molecolari – continua Broccolo –. Non a caso, già quando i rapidi furono autorizzati dal ministero e inseriti nel conteggio del Bollettino lo scorso gennaio, assistemmo a una flessione notevole del tasso di positività. Così quell’effetto è portato all’estremo: martedì il rapporto tra casi positivi e tamponi processati è crollato addirittura allo 0,4%, ieri allo 0,8, ma si tratta chiaramente di dati “falsati”. Il messaggio che passa è che il virus circoli meno, o addirittura che non circoli più, ma le cose non stanno così. La verità è che facciamo un numero enorme di test meno efficaci, sostenendo una spesa economica enorme, per trovare una manciata di positivi».
A riprova dell’analisi il numero dei decessi, che martedì è addirittura salito a 70 (nonostante una decina di ricalcoli) e ieri si è attestato a 33: stando a quello dei contagi, secondo gli esperti, dovrebbero essere dieci volte meno. Il dubbio che qualcosa non torni nel calcolo dei casi allora – anche se l’Italia ha sempre scontato molti più decessi per Covid di altri Paesi – è più che fondato. «L’unica buona notizia riguarda proprio i non vaccinati costretti per il Green pass a fare il tampone: quella fetta di popolazione (2 milioni e mezzo di persone circa, ndr), più suscettibile all’infezione e alla malattia grave del resto degli italiani, ora risulta sicuramente più tutelata e controllata. Anche perché sempre loro verranno testati, ogni 48 ore». Il virus però intanto, nonostante la montagna di tamponi, rischia di continuare a circolare come e dove vuole. Pronto a rialzare la testa.