Il dopo voto. «Tasse giù», stessa strategia di Lega e M5s
Salvini incontra i parlamentari eletti (Ansa)
Si sposta sul primo appuntamento economico dopo il voto il duello a distanza tra i due vincitori delle elezioni. Ai primi di aprile non ci sarà ancora un nuovo governo, ma entro il 10 va presentato il Def, il documento di economia e finanza (lo sta preparando il governo Gentiloni). Sia il Movimento 5 stelle sia la Lega sono però già al lavoro per presentare una propria risoluzione al Def. E, curiosamente, ambedue utilizzano un linguaggio molto simile che, come in campagna elettorale (e senza tener troppo conto dei primi richiami giunti dall’Europa), parla di tasse da ridurre e di misure contro la povertà.
Il primo ad aprire le danze è Luigi Di Maio: in un’intervista al Corsera il candidato premier del Movimento dichiara che «siamo già al lavoro su una proposta che renderemo nota. Siamo pronti a discutere con le altre forze politiche – aggiunge – di altre misure che hanno al centro il bene dei cittadini». Un ragionamento a cui dà forza il neo-capogruppo al Senato, Danilo Toninelli: «Imporremo i temi economici per cui i cittadini ci hanno dato fiducia, quindi meno tasse e misure per ridurre la povertà». In tarda mattinata, fa loro eco Matteo Salvini: all’assemblea degli eletti leghisti il leader, ricordando che ad aprile «qualunque sia il governo c’è una manovra da preparare» (in realtà è solo un documento con impegni programmatici), afferma di volerne una in direzione «opposta» a quello che chiede l’Europa, e cioè con «meno tasse».
Non si tratta, ovviamente, di registrare i primi cenni di un’eventuale alleanza "in formazione". Semmai è una sfida quella che queste due forze ingaggiano, puntando ciascuna delle due a raccogliere in Parlamento un consenso più ampio dei singoli schieramenti. Le posizioni restano distanti, in generale: per Forza Italia, Brunetta ha specificato che l’intero centrodestra sta preparando una risoluzione unitaria con alcuni punti «imprescindibili», dalla flat tax all’abolizione della legge Fornero sulle pensioni. Ma resta lo stop, netto, a ogni ipotesi di reddito di cittadinanza, cavallo di battaglia di M5s.
Dopo aver superato lo scoglio delle presidenze delle Camere, insomma, sarà proprio il Def il banco di prova anche per la ricerca di una maggioranza di governo. In realtà, dopo il suo varo, il documento arriverà in Parlamento solo alla fine di aprile per essere votato e poi inviato a Bruxelles. Bisognerà vedere, quindi, a che punto saranno le trattative.
Per ora il Tesoro ha fatto sapere che sta lavorando a un testo "snello", molto tecnico, che si limiterà a riprodurre il quadro "a legislazione vigente", come si dice, cioè senza contenere alcuna nuova indicazione programmatica, compito lasciato al governo futuro. Il nodo è anche politico, però, e presenta due opzioni. Nella prima, i partiti dovrebbero limitarsi ad approvare il testo del Tesoro. Normalmente, il Def è votato dalla maggioranza e le opposizioni presentano delle risoluzioni di minoranza con le loro indicazioni. Se, invece, Lega e M5s vorranno far passare un loro testo, prevedendo una modifica dei saldi dei conti pubblici, avranno bisogno di una votazione a maggioranza assoluta. Uno scenario, quindi, che si lega strettamente a quello di una possibile coalizione di governo.
C’è poi un altro fattore. L’attuale quadro di finanza pubblica incorpora le clausole di salvaguardia sull’Iva, un incubo che al momento "vale" 12,4 miliardi di aumenti nel 2019 (e quasi 20 nel 2020). Se Lega e M5s vorranno variarlo, dovranno indicare anche come farvi fronte. Per ora il "contro-Def" che hanno in mente i 5 stelle, ha assicurato Di Maio, dovrebbe essere prudente su un eventuale sforamento del 3% di deficit. Rispetto dei parametri Ue, quindi, accompagnati però da politiche espansive e investimenti pubblici da finanziare con tagli agli sprechi, a esempio gli incentivi alle produzioni da fonti fossili. E il Movimento fa sapere di attendersi che il governo ora in carica anticipi la sua proposta «in una telefonata di cortesia». Il Def è «un primo test per tutti», ricorda il Pd Francesco Boccia, che per questo auspica «un sostegno di tutte le forze politiche». Un’ipotesi potrebbe essere quella di una risoluzione comune che impegni il prossimo governo a disinnescare le clausole.