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Intervista. Tajani: «Lavoriamo alla de-escalation. Ius scholae, pronta la proposta»

Matteo Marcelli domenica 29 settembre 2024

Per il vicepremier e ministro degli Esteri, Antonio Tajani, quella della cittadinanza è innanzi tutto «una questione di diritti, prima ancora che di leggi». Per questo il suo partito è deciso a presentare presto una proposta di legge «organica» sul tema, che sia in grado di garantire a chi vuole, e possiede i requisiti per farlo, il «diritto naturale» a diventare italiano.

Ministro, il referendum sulla cittadinanza ha raggiunto il quorum in brevissimo tempo. Questo non indica la volontà di una parte della popolazione di superare l’attuale legge?

Intanto le dico che io non condivido i contenuti del referendum e come FI non lo sosterremo, perché è una proposta che non è in sintonia con la nostra. Poi, che ci sia bisogno di attualizzare la legge sulla cittadinanza è vero.

E come pensate di farlo?

Stiamo preparando una proposta di legge organica sul diritto di cittadinanza, che si occupi di Ius scholae e metta mano anche allo Ius sanguinis.

Può illustrarne i contenuti?

Per quanto riguarda lo Ius scholae, riteniamo che i tanti ragazzi che vanno a scuola in Italia, e concludono un ciclo di studi della scuola dell’obbligo con profitto, possano chiedere la cittadinanza. È un criterio per farli diventare italiani anche culturalmente non solo nominalmente. Perché attraverso lo studio imparino e si sentano davvero italiani. Una proposta che intende correggere anche le storture della legge attuale, che non richiede una frequentazione con profitto, ma solo l’iscrizione a una scuola. Puntiamo a un’integrazione più compiuta, perché il rischio con l’attuale norma è che si acceda alla cittadinanza senza essere realmente integrati. Il problema è oggettivo: nelle scuole italiane ci sono 900mila studenti senza cittadinanza per i quali investiamo anche molti soldi. Una volta che lo facciamo, perché non dovrebbero diventare cittadini italiani?

Accennava anche allo Ius sanguinis.

È necessario intervenire. La legge attuale consente di ottenere la cittadinanza avendo antenati italiani senza alcun limite generazionale. Ma sappiamo che c’è chi la sfrutta per ottenere il passaporto senza neanche il desiderio di imparare la nostra lingua. E questo a fronte di una spesa di 300 euro. Ora, non credo si possa diventare italiani comprando la cittadinanza in questo modo. Senza contare le truffe e gli uffici intasati per le molte richieste. Serve una stretta e maggiori controlli. Tornando poi allo Ius scholae, faccio presente che il programma del centrodestra ci impegnava a integrare economicamente e socialmente gli immigrati regolari. E ripeto che questo non ha nulla a che vedere con la lotta all’immigrazione clandestina, che va portata avanti con decisione.

Rispetto a questo alcuni giornali sostengono che la premier Giorgia Meloni abbia posto un veto. È così?

Non è esatto. Meloni ha chiarito semplicemente di non conoscere la proposta di FI e sarà mia cura fargliela conoscere al più presto.

Come risponde a chi l’ha accusata di fare propaganda e di voler blandire l’elettorato cattolico con le sue aperture di questa estate?

Non devo blandire nessuno. Io sono cattolico e semplicemente dico quello che penso e faccio politica seguendo i miei ideali e provando a risolvere i problemi secondo una visione cristiana, liberale, riformista della politica. La posizione storica di FI e di Berlusconi è a favore dello Ius scholae. Non stiamo facendo nessuna speculazione. Proprio per questo non abbiamo presentato piccoli emendamenti al ddl sicurezza o usato altri escamotage. Vogliamo una riforma organica. Siamo un partito cristiano, lo abbiamo sempre detto e non ci stiamo inventando ora nulla di nuovo.

Passiamo all’autonomia differenziata. Lei ha espresso dei dubbi, chiedendo che si proceda alle intese con le Regioni solo dopo aver individuato i Lep e i relativi finanziamenti. Crede che verrà ascoltato?

Anche in questo caso non voteremo a favore del referendum. Voglio chiarire che siamo a favore dell’autonomia differenziata, ma deve essere ben applicata. Come ministro degli Esteri ho espresso perplessità sulle mie competenze, perché avevo l’impressione che alcune richieste delle Regioni andassero oltre le competenze previste dalla Costituzione. Questo non perché io sia contro all’autonomia, ma perché venga fatta bene. Credo che sia un’espressione di coerenza da parte nostra. Vogliamo correggere tutti i rischi che potrebbero esserci per il Sud. Come partito abbiamo anche creato un osservatorio per l’applicazione di questa legge. Ma – per esempio – quando si parla di export dobbiamo stare attenti. Il comparto rappresenta il 40% del nostro Pil e non possiamo rischiare concorrenza tra Regioni con 20 amministrazione regionali diverse per promuovere il commercio estero che porterebbero solo danni.

Veniamo al Medio Oriente, la morte di Nasrallah: come cambia la situazione sul fronte libanese?

Il rischio è quello dell’escalation, che purtroppo al momento appare costante. Continuiamo a lavorare, oggi più che mai, per il cessate il fuoco, sia in Libano sia a Gaza. Fra l’altro una priorità è la sicurezza dei nostri connazionali. Ho chiesto personalmente al governo di Israele di tutelare i nostri militari in Libano e abbiamo avuto risposte positive in questo senso. Sono in costante in contatto con le ambasciate a Tel Aviv, Beirut e Teheran, stiamo seguendo l’emergenza, pronti a evacuare i nostri connazionali civili; invitiamo tutti ad andare via il prima possibile. La situazione resta delicata, anche se proseguiamo nel lavoro diplomatico per arrivare a una de-escalation.

Netanyahu ha avuto parole molto dure contro l’Onu, l’ha definito una «palude antisemita», che ne pensa?

Le parole di Netanyahu non sono le nostre. Israele ha il diritto di difendersi e questa crisi è iniziata con l’attacco del 7 ottobre. Ma poi si è innescata una preoccupante reazione, con decine di migliaia di vittime, a scapito della popolazione civile palestinese. Non abbiamo votato alcune risoluzioni dell’Onu perché i toni erano troppo sbilanciati. Non abbiamo riconosciuto la Palestina non perché non vogliamo uno Stato palestinese: ma oggi uno Stato palestinese unito non esiste, ci sono Gaza e la Cisgiordania, con due autorità diverse. La nostra intenzione è agevolare la unificazione di queste realtà sotto la guida dell’Anp, magari con la presenza di una missione Onu a guida araba per un periodo limitato. Siamo anche pronti a inviare i nostri militari con l’Onu per la costruzione di uno Stato palestinese che riconosca e sia riconosciuto da Israele. Riconoscere la Palestina non deve essere un “dispetto” a Israele ma una scelta seria per costruire la pace. Il popolo palestinese ha diritto di realizzare il proprio sogno e Israele ha diritto di vivere in pace e sicurezza.

Le delegazioni italiane al Parlamento europeo, salvo alcune eccezioni, hanno votato contro l’uso delle armi occidentali date a Kiev in territorio russo. Ma non c’è contraddizione in questo?

Nessuna contraddizione: noi aiutiamo l’Ucraina in tutti i modi possibili, politici, finanziari e con l’invio di beni alimentari e per la ricostruzione. Abbiamo approvato nove pacchetti per l’invio di armi. Quello che a loro serve di più sono le difese antiaeree, i famosi Samp-T. Sono armi che servono a difendere le scuole, le case, gli ospedali. Abbiamo detto che le nostre armi non possono essere usate in territorio russo perché non siamo in guerra con la Russia. Ma anche gli americani lo hanno fatto. Peraltro, l’Ucraina non si è mai lamentata di questo con l’Italia. Dobbiamo stare attenti e capire che non siamo in guerra con la Russia. Mi pare solo buonsenso: significa lavorare per la pace».