Tajani alla Camera. Migranti, tutti i punti dell'accordo Italia-Albania
Parole per chiarire. Per allontanare i dubbi. Per difendere il protocollo sui migranti tra Italia e Albania. A Montecitorio tocca al ministro degli Esteri Antonio Tajani mettere in fila cose già dette e cose ancora da capire. Punto uno: «I migranti che potranno essere ospitati nei centri albanesi sono di due categorie: richiedenti asilo soggetti a procedura accelerata di frontiera, quindi non vulnerabili, e persone in attesa di rimpatrio. In nessun caso potranno essere ammessi soggetti vulnerabili come minori e donne in gravidanza». Punto due: «Nei centri opererà solo personale italiano e i costi sono interamente a carico dell'Italia. E i centri albanesi non potranno ospitare più di 3mila migranti nello stesso momento, che potranno arrivare solo con navi di autorità italiane, non barconi di scafisti né delle Ong». Punto tre: «L'Albania concederà gratuitamente all'Italia due aree, un punto di arrivo al porto di Shengjin, nella costa settentrionale del Paese, e una base militare a Gjader a circa 30 chilometri dal porto. I due centri funzioneranno secondo la normativa italiana, europea e internazionale in materia. Le procedure saranno quelle italiane e saranno svolte esclusivamente dalle autorità italiane, amministrative e giudiziarie». E ancora: «Nel porto vi sarà una struttura dedicata alle attività di soccorso, di prima assistenza e di rilevamento segnaletico e di impronte digitali. Nella seconda struttura, situata nella località all'interno, sarà svolto l'esame della domanda di protezione internazionale e, per chi non ne avrà i requisiti, saranno effettuate le procedure per il rimpatrio».
Tajani difende l'accordo Italia-Albania. «Non viola il diritto dell'Unione», ripete davanti al Parlamento. E citando la commissaria europea agli Affari interni, Ylva Johansson e replicando a «chi, nell'opposizione, ha paventato una violazione del diritto internazionale ed europeo, a chi ha descritto il progetto come una Guantanamo all'italiana e a chi ha parlato di deportazione o evocato il precedente dell'accordo tra Regno Unito e Ruanda». Non è così, si affanna a chiarire il governo. Le opposizioni però non indietreggiano. L'accordo non convince, ma Tajani va dritto: il protocollo non è panacea ma uno strumento aggiuntivo per gestire arrivi massici. «L'accordo firmato il 6 novembre è una componente importante di una strategia complessiva. E un possibile modello, non solo per l'Italia, per collaborazioni future con Paesi amici», insiste il ministro che non nega un confronto con le opposizioni: il dibattito di oggi e il voto che lo concluderà dimostrano, «se ce ne fosse bisogno, che il nostro governo non si è mai sottratto - specie su questioni di tale rilevanza - al dialogo e al vaglio del Parlamento». Ecco allora l'altra novità: il governo - spiega Tajani - «intende sottoporre in tempi rapidi alle Camere un disegno di legge di ratifica che contenga anche le norme e gli stanziamenti necessari all'attuazione del protocollo».