Attualità

Verona. Suore pro-gender? «Non è vero, ma lo scrivo»

Luciano Moia giovedì 21 maggio 2015
Chi ha i capelli grigi ricorda sicuramente le storielle diffuse durante la Guerra Fredda da Radio Erevan, l’emittente armena che faceva la fronda a Mosca. La più conosciuta recitava: "Sulla piazza Rossa regalano Mercedes. Contrordine compagni, la notizia è sostanzialmente vera, ma non si tratta di Mosca, bensì di Leningrado. E non sono Mercedes, ma biciclette. E non le regalano, le rubano". Ecco, nei giorni scorsi a Verona è capitato più o meno lo stesso. Un episodio di sapiente disinformazione in cui qualcuno, sfruttando l’equivoco rappresentato da quel "gender" intorno a cui le idee sembrano sempre più confuse – forse confuse non a caso – ha trovato il modo di spargere un po’ di veleni. «Un istituto religioso organizza incontri di educazione all’affettività per bambini di quinta elementare ispirati alla teoria del gender. Le suore fanno propaganda alle teorie gay». La notizia, come si diceva a Mosca ai tempi di Kruscev, è sostanzialmente vera. Ma – contrordine compagni – non si tratta di bambini, bensì di genitori. E i corsi di educazione all’affettività non sono finalizzati a cancellare il valore della differenza sessuale, bensì a mettere in luce la bellezza del maschile e del femminile. E, ancora, gli esperti chiamati dalle religiose dell’Istituto in questione, non sono militanti delle lobby Lgbt, bensì studiosi profondamente convinti del fatto che la sessualità sia un dono naturale da custodire e non una scelta fluttuante da interpretare secondo il gusto del momento. D’altra parte sarebbe bastato conoscere almeno un po’ i relatori della serata per comprendere che qualcosa, nella solita semplificazione mediatica con retrogusto anti-ecclesiale, non stava in piedi. Il 13 maggio scorso, all’Istituto Sacra Famiglia di Verona, erano stati invitati a intervenire il professor Massimo Gandolfini, neuropsichiatra, vicepresidente di "Scienza & Vita", autore di saggi anti-gender; Gilberto Gobbi, psicologo, per tanti anni impegnato nei Consultori familiari di ispirazione cristiana; Maria Carmela Di Martino, medico, rappresentante dell’associazione "Donum Vitae" fondata dal cardinale Sgreccia. Ora, neppure a carnevale, sarebbe stato possibile ipotizzare un’apologia dell’educazione gender da parte di queste tre competenti persone. Eppure è successo. Soltanto un paradossale cortocircuito informativo? Qualche dubbio è lecito. Il primo inciampo vede come protagonista un quotidiano locale che senza intenti polemici – almeno sembrerebbe – riferisce l’episodio in modo non limpidissimo. Ma il peggio arriva quando la notizia viene ripresa, dilatata, emulsionata con aggiunta di mono e digliceridi dei più grassi acidi mediatici, il giorno successivo, da due quotidiani nazionali. Su "Libero" le relazioni presentate da Gandolfini-Gobbi-Di Martino si trasformano addirittura in uno "scivolone etico". E il titolo non lascia spazio a dubbi: "Le lezioni omo dalle suore fanno infuriare Bagnasco", stabilendo una connessione impropria tra una conferenza – peraltro ineccepibile sotto il profilo dottrinale – e la prolusione presentata martedì dal presidente della Cei, che ha puntato sì il dito anche contro il rischio di colonizzazione ideologica rappresentato dalle teorie del gender nelle scuole, ma in una prospettiva più ampia, come dato purtroppo ricorrente in un numero crescente di istituti statali. Sulla "Stampa" l’episodio viene addirittura spostato da Verona a Padova e, con il solo obiettivo di far dell’ironia a basso costo ("Se l’istituto cattolico perde l’orientamento"), si amalgamano in modo grossolano qualche dose di anticlericalismo vecchio stile e un pizzico di dietrologia politica locale di non agevole intelliggibilità, nonostante la firma dell’illustre polemista. Certo, secondo i parametri mediatici più abusati, le "suore pro-gender" erano un boccone troppo ghiotto per non essere addentato. Peccato che la verità fosse un’altra. Nessuna ventata di pedagogia ideologicaa da parte delle suore. Anzi, al contrario, la ferma volontà di rimediare a un tentativo di "infiltrazione culturale" in cui qualcuno voleva farle cadere. Parlare delle bugie del gender in modo culturalmente onesto, può forse dispiacere a qualcuno. Se è così, si rassegni. Noi, come tante altre realtà del mondo educativo cattolico, continueremo a farlo.