Attualità

Il caso. Sulle passerelle di Milano ha sfilato anche la moglie di un super trafficante

Lucia Capuzzi lunedì 23 settembre 2024

Una sfiata durante la Fashion week di Milano

Avvolta in una nuvola di tulle bianco, adornata di gioielli luccicanti, ha sfilato, domenica, sulla passerella di Palazzo Serbelloni con lo sguardo fiero e il passo, insieme, leggero e deciso. Lo stesso con cui, una sera di diciotto anni fa, era entrata nella pista da ballo della festa di Canelas, cittadina del Durango di cui è originaria, stregando il super-boss latitante Joaquín El Chapo Guzmán. Si sarebbero sposati un anno dopo: all’epoca, il capo del cartello di Sinaloa aveva 50 anni, Emma Coronel appena 17. Ora ne ha 35: né il trascorrere del tempo né le tormentate vicende familiari – la cattura del marito, la fuga, il nuovo arresto e l’estradizione negli Usa, nel 2017, e la condanna, due anni dopo, a undici ergastoli – né il lungo anno trascorso dietro le sbarre negli Stati Uniti come complice di El Chapo hanno minato il suo fascino.

Non è stata, però, l’avvenenza né il passato da reginetta di bellezza a spingere la stilista californiana April Black Diamond a sceglierla come modella principale per la Settimana della moda di Milano che si è conclusa ieri con un boom di presenze: 800mila, il 6,7 per cento rispetto all’anno scorso, per un indotto di 213 milioni. «Credo che tutti meritino una seconda opportunità e la moda è lo scenario perfetto per mostrare la trasformazione, la forza, la resilienza» ha spiegato la disegnatrice, specializzata in abiti da sposa, in un messaggio diffuso su Instagram in cui ha definito Emma Coronel un «esempio di resistenza, coraggio e speranza».

Accanto a “Lady Chapo”, come la chiamano alcuni media, c’era Mariel Colón Miró, cantante e avvocata, che ha fatto parte della difesa del boss. «Le storie di queste donne dimostrano che è sempre possibile ricominciare» ha ribadito la stilista anche ieri. Parole che non hanno convinto gli scettici. La scelta come testimonial Emma Coronel ha suscitato forte polemica nella stampa messicana per cui quel nome non è legato a una serie tv o ai magistrali romanzi di Don Winslow. Bensì alla narcoguerra tragicamente reale in atto ormai da diciotto anni, con un bilancio di oltre 400mila morti, più di centomila desaparecidos e una società lacerata. Il conflitto vive, poi, proprio in queste settimane, un nuovo sanguinoso capitolo. L’arresto a El Paso, in Texas, il 25 luglio, di Ismael “El Mayo” Zambada, principale successore di El Chapo, ha innescato uno scontro feroce tra ha i rispettivi rampolli per il comando che sta dilaniando il Sinaloa, roccaforte dell’omonimo cartello.

Dal 9 settembre, quando il conflitto è esploso in tutta la sua violenza, si contano già più di 60 morti e altrettanti desaparecidos. Le scuole sono chiuse, le strade deserte, la vita economica paralizzata. Da una parte ci sono “Los Mayitos”, i figli di El Mayo – Vicente, Serafín e i due Ismael – dall’altra “Los Chapitos”, Jesús, Iván, Ovidio e Joaquín, questi ultimi due in cella negli Usa. Le loro madri sono Alejandrina Salazar e Griselda López, le precedenti mogli di El Chapo. Non Emma, dunque. Lei, dice, si è lasciata il Sinaloa alle spalle. Di fronte ha solo la passerella.