Attualità

INGANNI MEDIATICI. Sulle case famiglia diamo i numeri. Veri

Pino Ciociola sabato 7 maggio 2011
È sempre fuorviante mettersi a dare i numeri, soprattutto se sono assai sbagliati e specie se a farlo è un quotidiano a larga diffusione. «Bambini in casa famiglia, business da un miliardo all’anno», aveva accusato la Repubblica pochi giorni fa: «In Italia sono ventimila i minori ospiti di strutture. L’affare consiste nel prolungare i tempi di permanenza. Solo un piccolo su cinque è affidato a coppie in attesa».Un quarto in meno. Al 31 dicembre 2008 (ultimi dati certi e ufficiali disponibili), i minorenni fuori dalla famiglia, in affidamento familiare o accolti nei servizi residenziali, ammontano a 30.700», dei quali «15.200 sono in affidamento» e «15.500 accolti nei servizi residenziali».Dunque i piccoli "ospiti delle strutture" sono addirittura un quarto in meno di quei (presunti) ventimila. E questi, di numeri, sono quelli resi noti nel febbraio scorso dal Centro nazionale di documentazione per l’infanzia e l’adolescenza, insieme al ministero del Welfare e al Dipartimento per le politiche della famiglia presso la presidenza del Consiglio.Affido e struttura: rapporto pari. Per quel che riguarda poi il rapporto fra affidamento e accoglienza nelle case famiglia, è uguale. Infatti «i bambini e i ragazzi fuori dalla famiglia (sempre al 31 dicembre 2008) sono pari a tre minorenni ogni mille fra 0 e 17 anni» ed «equamente ripartiti fra bambini in affidamento familiare e bambini accolti in struttura, essendo entrambi i tassi pari a 1,5 minorenni per mille minorenni fra 0 e 17 anni». Leggere appena, dunque, i dati ufficiali e pubblici avrebbe evitato di raccontare anche che «solo un piccolo su cinque è affidato a coppie in attesa».A proposito: «L’affidamento familiare fa segnare un inequivocabile incremento nel corso degli ultimi anni. Confrontando il dato del 2007 con la sola precedente esperienza di indagine censuaria sul tema, realizzata al 1999, si registra un notevolissimo incremento percentuale pari al 64%, si passa infatti dai 10.200 affidamenti del 1999 ai 16.800 del 2007».Ogni anno 470 milioni. E le proporzioni di quel "business da un miliardo all’anno" sulla pelle dei piccoli fuori famiglia? Viene svelato da un’altra recente e interessante pubblicazione del Centro nazionale di documentazione per l’infanzia e l’adolescenza («Le politiche di cura, protezione e tutela in Italia. Lavori preparatori alla relazione sullo stato di attuazione della legge 149/2001» ), nella cui introduzione il Centro annota che «secondo le rilevazioni Istat, la sola spesa sociale dei Comuni del 2006 riconducibile all’esercizio dell’affidamento familiare e dei collocamenti in comunità assommava a circa 470 milioni di euro».Sempre a proposito di questo “business”, secondo il Contratto nazionale di lavoro delle cooperative sociali, gli educatori professionali (cioè laureati che lavorano con turni anche notturni) percepiscono uno stipendio mensile fra millecento e milleduecento euro.Decidono i servizi sociali. Tempi di permanenza dei minori nelle strutture di accoglienza e rientri in famiglia vengono decisi dai servizi sociali, e non dalle strutture stesse. Ma questo in realtà è il minimo, visto che sono a decine e decine i bambini e gli adolescenti che continuano a restarvi benché l’ente locale non paghi più la retta che dovrebbe (con la conseguenza che anche per mesi gli operatori lavorano senza stipendio oppure, come accaduto nei casi più gravi, che la casa famiglia chiuda).E infine: un minore affidato a una casa famiglia quasi sempre proviene dai servizi sociali o dal Tribunale minorile. Le loro situazioni quindi sono spesso tanto gravi che, altrettanto spesso, non permettono di farli tornare dai loro genitori d’origine almeno a breve tempo.