Azzardo . Intesa Stato-Regioni si rimanda ancora Ira delle associazioni
Che fine ha fatto l’accordo Stato-Regioni- Comuni sull’azzardo? Il governo doveva emanare un decreto attuativo entro il 31 ottobre ma ancora non si è visto nulla. Secondo ambienti del ministero dell’Economia sarà licenziato entro il 20 novembre, proprio quando arriverà in aula del Senato la Legge di Bilancio. Una coincidenza? Nella manovra economica è prevista una maxiproroga delle concessioni per scommesse e bingo. Mentre nel decreto fiscale, che sarà invece votato il 15 novembre, c’è la ricchissima proroga del 'gratta a vinci' a Lottomatica. Due decisioni legate proprio all’accordo e al timore che i nuovi bandi, di fronte alle iniziative regionali e comunali, non riscuotano l’interesse di un tempo.
E allora meglio prorogare per un anno, garantendo così entrate aggiuntive per più di un miliardo e 300milioni di euro: 800 milioni dalla proroga del 'gratta e vinci', 410 milioni di quelle per le scommesse, 73 milioni da quella per il bingo. Soldi sicuri, di fronte a una situazione che, malgrado l’accordo, resta ancora incerta e quindi, riflette il governo, meno “ap- petibile” per le società dell’azzardo. Probabilmente proprio per questo una prima bozza della Legge di Bilancio conteneva una norma che faceva pressione sulle regioni. Infatti al terzo comma dell’articolo 90 ('Disposizioni in materia di giochi'), era scritto che «al fine di consentire l’espletamento delle procedure di selezione di cui ai commi 1 e 2 (le gare per scommesse e bingo, ndr), le Regioni adeguano le proprie leggi in materia di dislocazione dei punti vendita del gioco pubblico all’intesa sancita in data 7 settembre 2017, in sede di Conferenza Unificata, entro il 30 aprile 2018».
E questo con una proroga fino alla fine del 2018. Ma nel testo definitivo, firmato il 29 ottobre dal presidente Sergio Mattarella e giunto a Palazzo Madama, scompare il termine del 30 aprile per adeguare le leggi regionali, mentre la proroga di scommesse e bingo viene spostata indietro al 30 settembre, che a questo punto sembrerebbe essere la data entro la quale adeguare le norme regionali. È l’effetto anche delle proteste del mondo associativo, di un 'tam tam' girato nei giorni scorsi, soprattutto preoccupato delle pressioni sulle Regioni. Ma anche di alcuni importanti società del settore, particolarmente contrariate da proroghe che congelano il mercato. Correzioni in corsa. Mentre resta la proroga per il 'gratta e vinci', peraltro prevista nella concessione del 2009. Un ricco affare. Nel 2016 i 'grattini' si sono portati via 9 miliardi di euro, garantendo 1,3 miliardi alle casse statali. Una decisione che non piace ad altre imprese interessate a un piatto così ricco.
Gira così l’ipotesi di affiancare alla proroga una gara per un secondo player. Ma questo farebbe correre il rischio di ampliare l’offerta e quindi il consumo di azzardo, andando proprio in senso contrario all’accordo raggiunto con tanta fatica con Regioni e Comuni. E sicuramente trova l’opposizione dei 'cartelli' e delle 'campagne' associative che chiedono soprattutto una reale e concreta riduzione dell’offerta per giungere finalmente a un calo del consumo di azzardo. Anche perché sicuramente le norme contenute nella Legge di Bilancio non vanno in tal senso.
Ad esempio non c’è il tanto richiesto divieto della pubblicità dell’azzardo. E non ci sarà. Almeno come iniziativa del governo. Il tema viene lasciato all’iniziativa parlamentare, a eventuali emendamenti che sicuramente saranno presentati, visto che sono molte le proposte in tal senso mai discusse né dal Senato né dalla Camera. Ma un altro fatto non gradito dal mondo associativo è la decisione di usare un decreto ministeriale per applicare l’accordo e non, come speravano, un decreto legislativo. La scelta di un provvedimento amministrativo, oltre a dare meno forza all’accordo, non prevede passaggi in Parlamento, neanche per avere il parere delle commissioni competenti. Così cadrebbe nel vuoto la richiesta fatta dalle stesse associazioni di essere ascoltate proprio dalle commissioni, per esporre dubbi e critiche all’accordo.