Marmolada . Ad un anno dal crollo: «La neve è tornata, i turisti ancora no»
Le strumentazioni con cui ancora oggi viene monitorata la Marmolada
Oggi, a differenza del luglio scorso, sulla cima della montagna le temperature sono ancora basse. Solo uno dei tre rifugi è aperto, niente zone rosse, «ma la gente pensa che la zona sia inaccessibile». I monitoraggi e gli orari per i sentieri Canazei ( Trento) Dal ghiacciaio inferiore dell’Antelao, (3.264 metri, in Cadore), Francesco Abbruscato del Cai di Mestre volta lo sguardo dalla parte opposta. «Qui solo ghiaia – riflette sconsolato –, laggiù si vede ancora neve». All’orizzonte s’affaccia il ghiacciaio della Marmolada, 3.343 metri. Un colpo di telefono alla Capanna Punta Penia, sulla vetta. «In verità abbiamo ancora un metro di neve, forse un metro e mezzo di quella ventata – testimonia Carlo Budel, il rifugista –. Le temperature ancora basse riescono a mantenerla». Un anno fa? Era il 2 luglio 2022, la vigilia della tragedia che fece 11 morti, quando Carlo ci raccontava: «Qui la neve è sparita tutta, resta solo il ghiaccio, i crepacci si sono aperti e dal fondo sale il rumore dei torrenti d’acqua». È il 3 luglio: alle 13.43 un boato spacca il silenzio della Marmolada. Carlo esce dal rifugio per vedere cosa accade.
Scruta la cresta alla sua destra e scopre un cratere, là sotto dove insisteva un piccolo lago. Ma non immagina che i suoi ospiti, salutati un’ora prima, siano finiti nel vortice della valanga di neve. Glielo comunicherà il titolare del rifugio, Aurelio Soraruf, che ai piedi del ghiacciaio gestisce da una vita l’albergo Castiglioni. E che oggi commenta: « Il distacco fa parte degli imprevisti delle alte quote. Come i crolli di roccia dagli spigoli delle Dolomiti. L’hanno certificato anche i magistrati di Trento». Il 20 giugno scorso, infatti, il gip del Tribunale di Trento, Enrico Borrelli, ha archiviato l’inchiesta della Procura, condividendo le motivazioni dei periti tecnici secondo cui l’evento non era prevedibile. I familiari delle vittime non hanno tutti accettato questa “verità”. «Non credo alla tragica fatalità. Gli accessi al ghiacciaio dovevano essere chiusi a causa delle alte temperature » ha commentato l’archiviazione Luca Miotti che ha perso il fratello. «Credo non sia giusto parlare di disastro imprevedibile – osserva Miotti –. Il monitoraggio diceva che le condizioni del ghiacciaio erano in peggioramento da anni. Ecco perché non capisco come sia stato possibile non dare l’allarme e chiudere gli accessi». Il crollo del seracco, secondo la perizia tecnica firmata da Carlo Baroni (Università di Pisa) e Alberto Bellin (Università di Trento), è stato causato dalle «temperature elevate registrate da metà giugno».
Da metà giugno – ricordano Budel e Soraruf – le temperature in vetta raggiungevano anche i 10,7 gradi centigradi. E per più giorni. Quel poco di neve che era rimasto si riduceva, insieme al ghiacciaio, addirittura di circa sette centimetri al giorno. Già nel 2012, qualcosa di analogo, seppur di dimensioni meno pesanti, era avvenuto a quelle quote. Un anno fa il distacco ha interessato circa 63.300 metri cubi di ghiaccio, precipitati a valle ad una velocità di 50-80 metri al secondo, portando con sé roccia e detriti per circa 2,2 chilometri, coinvolgendo gli scialpinisti che stavano scendendo e lambendo il rifugio Ghiacciaio, poco Sopra Pian dei Fiacconi. Da allora il rifugio è chiuso. Il gestore, Luca Toldo, ho dovuto cercarsi un’altra attività.
Chissà mai se e quando il locale verrà riaperto. Il rifugio Pian dei Fiacconi, che si trova 100 metri a valle, è un cumulo di macerie, distrutto da una slavina nel dicembre 2020. Il rifugio Cima Undici, poco sopra passo Fedaia, è riaperto da un mese, dopo un anno di inattività obbligata. «Quei morti non li dimenticheremo mai – ci dice la signora Anna, che col marito Ermanno Lorenz gestisce l’ambiente –, ma vorrei ricordare che la Marmolada è aperta. Invece per tanti turisti è inaccessibile». In effetti si stanno definendo proprio in questi giorni le modalità con cui il versante nord del ghiacciaio potrà essere percorso. Il sindaco di Canazei, Giovanni Bernard, ha partecipato a un sopralluogo con Sergio Benigni ed altri tecnici provinciali di Trento.
«Non immaginiamo, per l’estate, divieti da zone rosse, ma semmai la chiusura di alcuni sentieri» assicura. Si può salire a Capanna Punta Penia, dalle 4 alle 5 ore, in parte di sentiero attrezzato. In funivia i turisti arrivano a Punta Rocca da dove ve-dono il cratere del 3 luglio, la parete verticale di ghiaccio e roccia, la base ricoperta di neve. Dalla stazione di arrivo della funivia parte la pista di sci più lunga d’Europa, 12 km, attiva solo d’inverno. La parte sommitale è stata coperta, per 50 ettari, da teli di nylon in modo da proteggere la neve. «Il ghiacciaio negli ultimi 20 anni ha perso 5 ettari all’anno.
Ma negli ultimi 3 la perdita è salita a 9 ettari l’anno – riferisce Begnini –. Lo spessore più alto è ancora di 26,7 metri, ma con queste perdite annuali non so quanti decenni potrebbe resistere». Il tecnico, ricognizioni alla mano, ammette che c’è un po’ di neve in più che l’anno scorso, ma avverte che sotto il seracco c’è dell’acqua superficiale data dalla fusione della neve. Ecco, dunque, che la Protezione civile sta monitorando, con appositi sensori, il contenuto d’acqua della neve e del ghiaccio per capire le dinamiche. Subito dopo il collasso, la stessa Protezione, attraverso interferometri e radar doppler, ha monitorato sia l’area del crollo, sia le due lingue glaciali che lo delimitano in destra e sinistra orografica. La nicchia di distacco è risultata potenzialmente instabile.