Attualità

INCHIESTA. Sul telecomando l’Italia è digitale

Giacomo Gambassi mercoledì 4 luglio 2012
Addio cara «vecchia» tv. Finisce l’era della televisione analogica in Italia. Con gli ultimi switch-off che in queste ore si stanno susseguendo a Palermo e Messina, cala il sipario sulla «scatola magica» delle origini: quella che si era accesa il 3 gennaio 1954 con le prime trasmissioni Rai, che ci aveva regalato il colore e la stereofonia, che era accompagnata dall’effetto neve e dai fruscii quando il segnale arrivava col contagocce. Tempi passati. Da oggi tutto il Paese è entrato nella tv digitale. O, meglio, nel digitale terrestre che continua a essere ricevuto con le antenne di casa ma arriva in bit. E soprattutto moltiplica i canali sul piccolo schermo (ogni frequenza analogica può ospitare fino a sei emittenti), fa impennare la qualità e porta l’alta definizione in famiglia. «Si tratta di un’importante prova di innovazione», commenta il ministro Corrado Passera. Ma non tutto è oro: la nuova tecnologia non è la più adatta all’Italia. La complessa morfologia della Penisola non facilita la ricezione di un segnale «pesante» che non coprirà mai in tutti i Comuni. Non è un caso che sia nata TivùSat, la piattaforma satellitare che «replica» il digitale terrestre e che viene utilizzata da quasi un milione e mezzo di italiani. Ciò significa che il 5% della popolazione fa fatica a vedere la tv «numerica». Il nuovo standard approda in Italia su indicazione europea. Nel 2001 il governo Amato stabilisce che entro il 2006 tutte le trasmissioni vadano in onda in digitale. Una data che slitterà col passare degli anni e si intreccerà al braccio di ferro politico per rivedere la «posizione dominante» di Mediaset. Si dovrà attendere l’autunno 2008 prima che in una regione, la Sardegna, avvenga il debutto hi-tech. Poi sarà la volta del Nord Italia con le appendici di Lazio e Campania. Lo scorso autunno tocca al Centro, mentre nel Mezzogiorno le famiglie stanno diventando full digital solo da maggio. Accendendo oggi un televisore, i canali che compaiono sono in media 200 per regione. I soli marchi nazionali sono 93 in chiaro, a cui se ne si aggiungono 32 a pagamento e 10 on demand. Poi ci sono le emittenti locali che producono più di 1.200 canali. E la crescita dell’offerta ha creato nuova domanda di tv allargando la dieta mediatica degli italiani. Secondo l’indagine «Media monitor 2012» di Gfk-Eurisko, il volume di tempo dedicato al piccolo schermo è cresciuto dell’8,4% nell’ultimo anno. Un’escalation che è figlia proprio del digitale terrestre. Perché il consumo dei canali tematici nati col nuovo standard è più che raddoppiato in dodici mesi. In pratica piacciono le tv specializzate. Lo dicono anche gli ascolti. In un anno l’audience delle sette reti nazionali che erano anche in analogico (Rai 1, Rai 2, Rai 3, Canale 5, Italia 1, Rete 4 e La 7) è sceso del 5,4% attestandosi sul 71%. Invece schizzano le emittenti non generaliste che, in base all’ultima analisi di Starcom, raccolgono il 31% della platea televisiva con punte del 36% al mattino e nel primo pomeriggio. Fra i nuovi canali più visti Real Time, Rai Premium, Iris e Rai 4. Più complessa la ricaduta del digitale sulle emittenti locali. Non soltanto le tv del territorio sono state costrette a battersi per conquistare le frequenze necessarie ad andare in onda con i propri ripetitori dopo il taglio di nove canali dirottati verso la telefonia mobile. Ma hanno dovuto fare i conti anche con gli elevati costi per riconvertire gli impianti e con il crollo del mercato pubblicitario locale. Ecco quindi che, per loro, il saldo è negativo: almeno cinquanta emittenti hanno interrotto i programmi e la nuova tecnologia si è portata dietro un calo di ascolti generalizzato, come testimoniano le rilevazioni Auditel. Forse la disaffezione verso le locali è legato anche alla loro posizione sul telecomando, in mezzo a decine di grandi network. E sulla numerazioni automatica delle reti si sta combattendo una battaglia legale che va avanti da mesi. Si contrappongono le «piccole» tv e le emittenti nazionali, pur di ottenere un posto d’onore fra i tasti schiacciati in salotto. Certo, il digitale è anche sinonimo di mancate promesse. Come quella dell’interattività a portata di televisore che avrebbe dovuto far giungere in casa l’anagrafe comunale o gli sportelli amministrativi. E dal 2015 il digitale che l’Italia ha appena adottato sarà affiancato da quello di seconda generazione, il Dvb-T2, che incrementerà ancora qualità e spazi, ma costringerà tutti a cambiare i decoder.