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Trieste. Donna morta con suicidio assistito dal Ssn. La preghiera del vescovo Trevisi

Francesco Dal Mas martedì 12 dicembre 2023

La signora “Anna” (nome di fantasia a tutela della privacy) che ancora un anno fa aveva chiesto il suicidio assistito, è morta il 28 novembre nella propria abitazione di Trieste. Come prevedono le disposizioni dell’autorità sanitaria, si è autosomministrata il farmaco letale. Lo ha fatto sapere l’Associazione Luca Coscioni. La signora aveva solo 55 anni. Era ammalata di sclerosi multipla ormai da 13 anni. L’autorizzazione al suicidio assistito era arrivata il 26 settembre dopo un prolungato contenzioso legale. Il 4 novembre 2022 Anna aveva sollecitato l’Azienda sanitaria di Trieste di procedere con la verifica delle sue condizioni di salute per accedere al suicidio assistito. Assistito, appunto, dal Servizio sanitario nazionale.

Sarebbe la prima italiana ad aver completato la procedura prevista dalla Consulta, con l’assistenza diretta del Servizio sanitario nazionale. Il farmaco e la strumentazione sono stati forniti dal Ssn, a seguito dell’ordine del Tribunale di Udine. Un medico individuato dall’azienda sanitaria giuliana, su base volontaria, ha provveduto a supportare l’azione richiesta nell’ambito e con i limiti previsti dalla ordinanza cautelare pronunciata dallo stesso tribunale, il 4 luglio 2023, «e quindi senza intervenire direttamente nella somministrazione del farmaco, azione che è rimasta di esclusiva spettanza di Anna», come spiega una nota della Coscioni.

«Io oggi sono libera, sarebbe stata una vera tortura non avere la libertà di poter scegliere» sarebbero state le ultime parole della signora. E ancora: «Ho amato con tutta me stessa la vita, i miei cari e con la stessa intensità ho resistito in un corpo non più mio. Ho però deciso di porre fine alle sofferenze che provo perché oramai sono davvero intollerabili». Il messaggio è stato diffuso dopo il decesso. Dalla sua vicenda è originata la raccolta di firme in calce alla proposta di legge regionale sul fine vita, discussa nell’assise del Friuli-Venezia Giulia.

Appena raggiunto dalla notizia della morte della signora Anna, deceduta per suicidio assistito, e con farmaci forniti dal Servizio Sanitario Nazionale, il vescovo monsignor Enrico Trevisi si è raccolto in preghiera. «Affido Anna al Signore: Lui solo conosce quello che abbiamo nel cuore, le nostre debolezze e le nostre speranze. Noi crediamo nel Dio della vita e a Lui affidiamo tutti i nostri defunti e pure i nostri malati, nella loro fatica di sopportare il dolore fisico (per il quale non sempre sono a disposizione le cure palliative che potrebbero essere di grande aiuto) e la sofferenza per la propria inabilità, per il dare senso alla propria condizione di grave disabilità, dell’aspettare una morte che pare tardare e accrescere l’angoscia».

Il vescovo ricorda la nota della Conferenza episcopale del Triveneto sul fine vita e la pressione mediatica per l’eutanasia. Ricorda pure «i dubbi sulla corretta interpretazione e applicazione della sentenza 242/2019 della Corte costituzionale». Ma di fronte al mistero della morte «ora è meglio il silenzio e la preghiera – afferma -: in essi viene da domandarci se come società e come comunità cristiana stiamo facendo abbastanza per accompagnare i malati gravi o se li induciamo a sentirsi un peso, uno scarto, un costo economico».

Monsignor Trevisi ammette che «fa male la disinvoltura con cui si inneggia al suicidio assistito come a una conquista, come a un progresso», mentre il vero progresso «è una assistenza di qualità, una adeguata alleanza terapeutica». «E insieme ci si aiuta anche dentro gli anfratti opachi – come sono certe malattie – per i quali non abbiamo una immediata risposta, ma che rimangono comunque un tempo da vivere nell’amore e nell’affidamento a quel Dio Salvatore che ha condiviso con noi la precarietà della vita (pensiamo a Betlemme e al nascere in una stalla) e l’angoscia della morte (pensiamo al Getsemani)» aggiunge Trevisi.

Il vescovo di Trieste conclude incoraggiando tutti a una carezza nei confronti di chi sta male, di chi soffre una particolare situazione di vulnerabilità. «E in particolare di quel malato che è tentato dalla disperazione. Incoraggio tutti a un tempo intenso di condivisione con chi vive la malattia per rigenerarci insieme ad una speranza di vita vera e piena, dove non ci sono più morte, malattia e violenza».

Quanto avvenuto a Trieste "è una sconfitta per la medicina e per l'intera società trattare un paziente somministrando la morte, piuttosto che farsene carico con le cure palliative", ha detto Massimo Gandolfini, medico e presidente dell'Associazione Family Day. "Il Ssn è nato per curare e non per uccidere - sottolinea il neurochirurgo e psichiatra - . La richiesta di morire è sempre un messaggio di disperazione che deve essere colto per dare una risposta, scientifica e umana, di presa in carico. Rispondere con il suicidio assistito è disumano e vergognoso. Faremo ogni sforzo per sostenere le cure palliative e cancellare la deriva della morte su commissione".


Articolo aggiornato alle 19:15