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Carceri. Suicidi, rivolte e 24 bimbi dietro le sbarre: c'è un fine pena mai

Ilaria Beretta sabato 17 agosto 2024

Sessantasette suicidi di detenuti dall’inizio dell’anno, sette agenti che si sono tolti la vita, novantotto vittime il cui decesso è per cause da accertare. Se c’era bisogno di un bilancio a Ferragosto, oltre al famigerato sovraffollamento che tocca il 120% secondo gli ultimi dati, questi numeri dicono tutto. Degli oltre 61mila detenuti ristretti, più di 6mila sono in carcere ma ancora in attesa di giudizio, e condividono con i condannati a pena definitiva tutte le criticità dei penitenziari italiani tra cui le condizioni strutturali e igieniche degli edifici. L’altra faccia dell’emergenza, poi, resta il caso dei bambini dietro le sbarre: sono 24 e non c’è nessuna volontà a livello parlamentare di “liberarli” dalla condizione di restrizione in cui anche loro, da innocenti, si trovano.

Da Torino a Parma

Nel giorno dell’Assunta, nel carcere di Torino è scoppiata una rivolta di detenuti che hanno danneggiato le luci, il sistema di videosorveglianza, bruciato un materasso e ferito 6 agenti che cercavano di sedare i disordini; mentre, in serata, un 36enne di origine tunisina si è impiccato nel carcere di Parma. L’uomo era stato trasferito in Emilia-Romagna da appena 24 ore e scontava una pena definitiva di 3 anni e 8 mesi per rapina, ricettazione e violazione delle norme sugli stupefacenti, al termine della quale avrebbe dovuto essere eseguita l’ordinanza di espulsione dall’Italia.

Sullo sfondo delle dichiarazioni resta irrisolto pure il nodo dei bambini detenuti in carcere con le loro madri. Ad oggi sono 24, divisi tra Istituti a custodia attenuata per detenute madri (Icam) e sezioni nido di carceri ordinarie. Ma potrebbero diventare di più. Con l’approvazione del decreto carceri, infatti, sono stati bocciati gli emendamenti delle opposizioni sull’articolo 12 che riguarda proprio le madri detenute e rende facoltativo l’attuale obbligo di rinvio della pena per le donne in gravidanza e le madri con figli al di sotto di un anno. Il punto è stato criticato dalle associazioni per l’infanzia e quelle che si occupano di diritto carcerario che hanno specificato che per queste donne, quando non è possibile uno sconto di pena alternativo, sono necessarie particolari condizioni detentive. Unicef Italia, per esempio, ha pubblicato una nota sottolineando la necessità di finanziare gli Istituti a custodia attenuata per detenute madri e ha aggiunto: «I diritti dei bambini e delle bambine dovrebbero essere al di sopra di ogni generalizzazione o strumentalizzazione e ognuno dovrebbe riconoscerne e sostenerne l’inviolabilità».

L’interesse violato del minore

«Le donne incinte condannate per reati minori – spiega ad Avvenire il pediatra e già parlamentare Paolo Siani – non possono stare in carcere perché è impossibile garantire loro la necessaria assistenza e tutelare l’interesse del minore. È noto che rispetto alle donne incinte della popolazione generale, le donne in carcere hanno maggiori fattori di rischio associati a esiti perinatali sfavorevoli, tra cui neonati pretermine e piccoli per l’età gestazionale e un rischio maggiore di essere sottoposte a taglio cesareo. Vivere i primi anni di vita in un carcere per un bambino, poi, è un’esperienza tossica che ne segna, in negativo, la vita per sempre». Questo non significa non punire le madri ma usare, per quel che riguarda reati lievi, pene alternative come gli arresti domiciliari o lo spostamento in casa-famiglia. «L’Icam non vale – precisa Siani –. Anche se non è un carcere duro, il bambino lo percepisce allo stesso modo. Anche se qui ogni mamma ha una stanza con un bagno suo, la luce è sempre accesa, ci sono le sbarre alle finestre, la porta è sempre chiusa. Per un bambino è un trauma: la letteratura ha appurato che chi ha fatto questa esperienza parla e cammina più tardi, sviluppa disturbi di alimentazione e del sonno. Inoltre, vivendo in un ambiente deprivato e con pochissimi stimoli, avrà una crescita deficitaria. Così mentre cerchiamo di rieducare una persona, ne condanniamo un’altra a una vita non dignitosa».

Le visite dei politici

Sotto questa cattiva stella, dunque, si è come al solito svolto il “Ferragosto in carcere” di sindaci, avvocati e parlamentari di tutte le parti politiche, per competenza inaugurato dal ministro Carlo Nordio che ha raggiunto la casa circondariale femminile della Giudecca, a Venezia. «Penso che con la nomina del commissario straordinario e con l’attuazione del nuovo decreto Carceri – ha dichiarato il Guardasigilli al termine della visita – entro i prossimi due o tre mesi cominceremo a vedere i risultati». E tra i provvedimenti allo studio del Ministero contro il sovraffollamento ci sarebbe anche l’ipotesi della concessione di misure alternative, come i domiciliari o l’affidamento in prova, per quei detenuti condannati che devono scontare pene residue entro un anno.
Non sembrano convinte le opposizioni, che criticano fortemente l’efficacia pratica del dl appena adottato. «In tutta Italia – ha scritto, per esempio, su X Matteo Renzi, in visita al carcere di Sollicciano – abbiamo un sovraffollamento inaccettabile e il provvedimento del governo Meloni su questo tema è fuffa spaziale, anche a giudizio degli operatori del settore».

Polemiche pure sul sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro per una foto postata sui social e poi cancellata che lo ritrae nel carcere di Brindisi con una sigaretta accesa tra le dita sotto a un cartello di divieto di fumo; nonché per la visita nel carcere di Taranto, dove Delmastro ha specificato di aver incontrato non i detenuti ma soltanto gli agenti di custodia. Sulla vicenda l’Organismo congressuale forense ieri ha detto che «la decisione del sottosegretario di rivolgersi esclusivamente al personale penitenziario, escludendo deliberatamente qualsiasi dialogo con i reclusi, non è in linea con il ruolo istituzionale e anzi può apparire come un tentativo di creare un’inaccettabile frattura ideologica all’interno dell’ordinamento. La nostra Costituzione è chiara: ogni persona, indipendentemente dalle sue colpe, ha diritto a un trattamento dignitoso e umano, ed è responsabilità delle istituzioni, e quindi del ministero della Giustizia, assicurare che ciò avvenga».


ANSA


Il caso Regina Coeli

A Roma, in due momenti diversi, il vice capogruppo Pd alla Camera, Paolo Ciani, e il sindaco Roberto Gualtieri hanno varcato la soglia di Regina Coeli. Qui la situazione resta esplosiva: in un anno e mezzo si sono verificati 7 suicidi, la struttura ospita 1.200 detenuti, il doppio dell’effettiva capienza, e anche gli agenti sono sotto organico. Due settimane fa la Garante dei detenuti Valentina Calderone aveva presentato in Consiglio comunale una relazione sulle condizioni delle carceri romane spiegando che ad aggravare la situazione ci sono condizioni strutturali fatiscenti, stanze da due che ospitano cinque persone, dove le temperature d’estate toccano i 40 gradi, infiltrazioni di acqua e muffa alle pareti, lavandini che perdono, acqua calda che non funziona e aule scolastiche e spazi comuni usati come dormitori d’emergenza.