Fisco. La Consulta "promuove" la sugar tax
La cosiddetta sugar tax non è mai entrata in vigore, rinviata da anni di proroga in proroga. Ma qualora governo e Parlamento decidessero alla fine di introdurla ora potranno farlo senza incorrere in un rischio di incostituzionalità L'imposta sul consumo delle bevande analcoliche edulcorate non è infatti costituzionalmente illegittima, secondo una sentenza della Consulta pubblicata ieri, e può compensare le maggiori spese per i danni alla salute.
La questione di legittimità era stata sollevata dalla seconda Sezione del Tar del Lazio, che aveva censurato tale disciplina, per violazione del principio di eguaglianza tributaria, in quanto la sugar tax - che entrerà in vigore il 1 luglio prossimo salvo nuove proroghe - è destinata a colpire solo alcune bevande analcoliche. Ad essere tassati sarebbero quindi i succhi di frutta e di ortaggi e legumi, non fermentati, senza aggiunta di alcol, addizionati di zuccheri o di altri dolcificanti, ottenute con l'aggiunta di edulcoranti, di origine naturale o sintetica (comprese acque minerali e gassate, con aggiunta di zucchero o di altri dolcificanti o di aromatizzanti), mentre non sarebbero tassati altri prodotti alimentari contenenti le stesse sostanze. Il Tar del Lazio sosteneva che il diverso trattamento applicato a due fattispecie ritenute omogenee (bibite e altri prodotti alimentari, entrambi edulcorati) non trovasse alcuna giustificazione né nel testo della legge, né nella relazione illustrativa della medesima e fosse, quindi, irragionevolmente discriminatorio.
Nel respingere l'eccezione di incostituzionalità, la Corte ha ritenuto che la scelta disincentivante del legislatore - attraverso l'introduzione della sugar tax - non risulta né irragionevole, né arbitraria, né ingiustificata quanto alla sua limitazione alle sole bevande edulcorate rispetto a prodotti alimentari di altro tipo. Premesso che la sugar tax rientra nel novero dei tributi indiretti sulla produzione e sul consumo di certi prodotti ritenuti dannosi «per la salute, il cui eccessivo utilizzo può, pertanto, generare un aggravio di spesa pubblica, connesso alla conseguente necessità di assicurare appropriate cure attraverso il Servizio sanitario nazionale», secondo la Corte, proprio le specifiche giustificazioni scientifiche che stanno a fondamento di tale imposta dimostrano che il legislatore ha fatto uso ragionevole dei suoi poteri discrezionali in materia tributaria.