Inchiesta. «Carcere anche ai tre minori». Linea dura sul caso degli stupri a Rimini
Guerlin Butungu , 20 anni, congolese, rifugiato residente a Vallefoglia, nel Pesarese, viene portato in carcere dalla Questura a Rimini, 3 settembre 2017. ANSA/MANUEL MIGLIORINI
Il cerchio è chiuso, anche il "capo branco" accusato del doppio stupro a Rimini è finito nella rete della giustizia. Guerlin Butungu, 20 anni, congolese, con stato di rifugiato e residente a Vallefoglia, in provincia di Pesaro, cercava di scappare in treno, forse in Francia, ma gli agenti lo hanno bloccato. Era solo nel vagone, senza biglietto ma con un coltello. La polizia lo aveva accerchiato alle due del mattino di domenica mentre era in bicicletta per le vie di Pesaro. Il congolese ha seminato gli agenti salendo in treno ma è stato fermato dagli uomini della squadra mobile alla fermata della stazione di Rimini. Soddisfatto il Questore di Rimini Maurizio Improta, «perché a mettere le manette al quarto uomo sono state due donne. Un gesto simbolico che ha reso giustizia alle vittime delle violenze». Per loro, la richiesta da parte della Procura per i minorenni prevede la misura più restrittiva: il carcere. Oggi, intanto, nelle udienze di convalida dei fermi, toccherà ai Gip del tribunale di Rimini e di quello minorile di Bologna valutare le loro posizioni e, in attesa dei processi, dare un giudizio preliminare sulle ricostruzioni dei fatti.
Una settimana dopo, tutti e quattro i ragazzi considerati gli autori del doppio brutale stupro tra il Bagno 130 e la Statale Adriatica e di un terzo sventato, oltreché della violenza su un 26enne polacco, sono stati fermati al termine di una vera e propria caccia all’uomo. Oltre a Butungu, l’unico maggiorenne del branco, si tratta di due fratelli di 15 e 17 anni, originari del Marocco ma nati in Italia, e di un 16enne nigeriano. I due fratelli avrebbero deciso di presentarsi perché sentivano il fiato sul collo degli investigatori. Il padre li ha riconosciuti nelle immagini delle telecamere di sorveglianza pubblicate dai quotidiani. «Gli ho detto di andare subito dai carabinieri – ha detto –. Può capitare che uno rubi un telefonino, ma non che uno violenti una donna. Se hanno fatto una cosa del genere devono pagare. I miei figli dovranno assumersi le responsabilità per ciò che hanno fatto».
L’uomo, 51 anni (ora ai domiciliari), ha detto che il 17enne era tornato a casa piangendo. La famiglia vive a Vallefoglia ed è seguita dagli assistenti sociali. La madre ha subito un ammonimento per stalking ai vicini mentre i due giovani hanno a loro carico denunce per furto e percosse.
Due dei tre negano di aver compiuto atti di natura sessuale ma comunque ammettono di aver tenuto ferma almeno una delle vittime, la donna polacca, e poi di aver partecipato al pestaggio del compagno. «Lui ordinava e noi ubbidivamo. Ci trattava come fossimo i suoi cani» ha detto agli inquirenti, riferendosi a Butungu, il più grande dei due marocchini. Arrivati a Rimini da Pesaro in treno, i quattro hanno passato la notte tra alcol e droga. «Butungu ci ha offerto due bottiglie di vodka, birra e spinelli». Sarebbe stato sempre il congolese a prendere l’iniziativa sia con la coppia dei 26enni polacchi (ritornati ieri in patria) sia con la trans peruviana. Loro lo avrebbero solo spalleggiato, troppo fuori controllo per rendersi conto. A fare chiarezza ci penserà la comparazione con il Dna trovato sulle vittime. Il procuratore per i minorenni Silvia Marzocchi ha emesso un provvedimento di fermo nei confronti dei tre («turpi, brutali e ripetuti atti di violenza») che rimarranno al Cpa (Centro di prima accoglienza) del carcere minorile a Bologna in attesa della udienza attesa martedì per la convalida dei fermi.
«Il congolese era senza pietà, ma nessuno ha mostrato umanità – ha detto invece la trans peruviana –. Nel mio cuore c’è sì rabbia, ma non odio. Provo pena per loro». Lui, intanto, continua a negare. «Non c’ero – ha detto Buguntu –. Ero andato a delle feste in spiaggia, ho bevuto e mi sono addormentato». Nella sua borsa sono stati trovati un telefonino rapinato poco prima a degli italiani e il telefono del polacco compagno della ragazza violentata: «Al risveglio ho incontrato dei ragazzi che mi hanno offerto di acquistare un orologio e un telefonino probabilmente rubati e li ho acquistati in buona fede». Una versione che non trova riscontro nelle immagini della vidoesorveglianza. Per loro le accuse formalizzate dalla Procura di Rimini sono rapina aggravata, violenza sessuale di gruppo, lesioni aggravate. Le pene teoricamente potrebbero superare i 20 anni; il reato più grave è la rapina aggravata.
Intanto la cooperativa "Lai-Momo" ha licenziato il mediatore culturale che, all’indomani degli stupri, aveva postato su Facebook la frase: «lo stupro è peggio solo all’inizio...». La polizia polacca ha ringraziato i colleghi italiani per il lavoro svolto ma la Polonia, per bocca del vice ministro della giustizia polacco Patryk Jaki, chiederà l’estradizione dei quattro arrestati.