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Mal d'aria. Stufe a legna, auto, caldaie: chi è il colpevole dello smog

Massimo Calvi lunedì 13 febbraio 2017

La cappa di smog che grava su Milano, fotografata nel dicembre scorso (Fotogramma)

Non piove, sale lo smog. Piove, scende lo smog. A Milano, a Parigi, a Londra, se piove poco e non tira vento le grandi città si riempiono di gas tossici e si scoprono impotenti di fronte allo smog. Ma è così difficile risolvere il problema una volta per tutte? La risposta è sì. O meglio: è impossibile se si pensa di poterlo fare all’istante, con una sola misura, senza valutare il problema nel suo insieme. Si può, invece, se non ci si trincera dietro battaglie ideologiche o di lobby e si entra in una dimensione collaborativa, superando barriere culturali, confini amministrativi e luoghi comuni. E, soprattutto, se ci si pongono degli obiettivi e ci si adopera tutti per raggiungerli.

Le vittime dell'inquinamento

Una prima cosa da dire, in questo senso, è che l’inquinamento oggi è molto più basso rispetto a qualche anno fa, ad esempio agli anni 70, 80 e 90. L’emergenza smog continua però a fare paura per i danni alla salute che provoca. Secondo l’agenzia europea per l’Ambiente in Europa sono 467mila in un anno le morti premature dovute all’inquinamento, 91mila solo in Italia. Si tratta di elaborazioni statistiche, non certo di funerali celebrati, ma è sufficiente osservare l’aumento delle infiammazioni delle vie respiratorie nei bambini e i ricoveri nei reparti pediatrici quando lo smog super ai limiti per capire che non c’è da scherzare. Uno studio di Nomisma sul particolato Pm10, uno degli inquinanti che più preoccupano nelle metropoli, ha stimato quasi 6.000 morti in Italia, circa un migliaio per città come Roma, Milano o Torino. Quando ci si mette in cerca di una soluzione è importante però capire quali inquinanti prendere in considerazione, e soprattutto quale area si vuole considerare: la situazione infatti cambia molto a seconda che si consideri una regione, una provincia, una sola città o il suo centro storico. Per capirlo si possono guardare i dati dell’Agenzia per l’ambiente (Arpa) della Lombardia, la regione che per le caratteristiche orografiche della Pianura Padana è sempre interessata dall’emergenza smog.


Le sostanze più pericolose

Gli inquinanti che preoccupano in una metropoli come Milano, perché superano più spesso i limiti, sono le polveri sottili Pm10 e Pm2,5 e il biossido d’azoto (NO2). Altri come l’ossido di zolfo (SO), dovuto soprattutto alle industrie, e l’ammoniaca (NH3), che arriva da agricoltura e allevamenti, incidono molto, ma non fanno scattare l’emergenza. Il vero duello si gioca dunque tra auto e riscaldamenti. In Lombardia il 50% del Pm 2,5 e il 44% del Pm10 è dovuto ai riscaldamenti, solo il 22 e il 25% arriva dal traffico veicolare. Se si guarda poi ai combustibili che generano le polveri sottili, non c’è molto da discutere: in testa, con 8.900 tonnellate l’anno, ci sono le combustioni a legna, seguite dai motori diesel con 2.600 tonnellate. La benzina verde incide per "sole" 160 tonnellate, meno anche del metano, a quota 280. Gran parte del particolato arriva dall’usura e non si deve a una combustione, ma questa è un’altra storia.

La sorpresa delle stufe a legna

Da questi dati si dovrebbe dedurre che per risolvere il problema delle polveri sottili andrebbero bandite le stufe, i caminetti, le vecchie caldaie, i diesel più inquinanti. Vero. Ma è solo una parte del problema. Se si mette a fuoco una zona più ristretta, come la sola area metropolitana milanese, il problema delle stufe a legna – che come i camini vengono accese soprattutto nelle villette dell’hinterland e nelle zone montane – si ridimensiona molto, i riscaldamenti incidono un po’ meno, mentre il traffico cresce di importanza: il 40% delle polveri sottili è dovuto al trasporto su strada, il 25-30% ai riscaldamenti (inoltre il 70 degli ossidi di azoto arriva dalle auto e solo il 12% dalle caldaie). Se poi si restringe ancora lo sguardo e si guarda alla sola città di Milano, le proporzioni cambiano ulteriormente. Un’indagine del Politecnico ha dimostrato che a Milano città il contributo dei veicoli a motore sul Pm10 è del 73%, quello degli impianti termici del 24%. A Genova il traffico pesa invece per il 75%, a Firenze addirittura per l’88%. Gli impianti termici sono invece la fonte responsabile di ben tre quarti della CO2, che tuttavia resta più spesso nei limiti. Tra sigle e percentuali il rischio di finire accecati dallo smog è altissimo. Anche perché a seconda dell’inquinante che si sceglie di guardare si riesce sempre a dare la colpa a qualcun altro. La cosa evidente è che per aggredire il problema si dovrebbe agire su più fronti. Ad esempio offrire sempre migliori alternative al trasporto veicolare guardando oltre la dimensione dei centri urbani, e forzare sulle sostituzioni delle caldaie. Per il Politecnico rinnovare i riscaldamenti domestici con impianti a condensazione inciderebbe come 40-60 giorni di blocchi totali del traffico.


A chi servono i blocchi auto

Già, i blocchi: ma servono? Molti ne hanno dimostrato l’inutilità, ma non è del tutto vero. Una volta che l’aria è satura di inquinanti, senza l’aiuto della pioggia è quasi impossibile rientrare nei limiti. Eppure anche gli stop alle auto sono utili. Per capire come si forma l’inquinamento si deve pensare che le emissioni di stufe, camini, traffico, industrie e fonti naturali varie generano uno strato di smog diffuso in tutta la regione. Su questo si va ad aggiugere lo strato dei gas prodotti nella metropoli. In un libro che è un po’ il testo di riferimento, "Aria Pulita" (Mondadori), di Stefano Caserini, docente di Mitigazione dei cambiamenti climatici al Politecnico di Milano, questo fenomeno è illustrato molto bene. Fermare i veicoli in sostanza non intacca i livelli "regionali" di Pm10, e fa scendere di poco il "fondo" cittadino. I blocchi auto hanno invece l’effetto di far calare molto il particolato nelle zone e nelle vie più esposte al traffico, perché è qui che inquinanti come Pm10 e Pm2,5, (ma anche altri come CO2 o gli ossidi d’azoto) raggiungono picchi elevatissimi e di fatto restano confinati. Gli esperti lo chiamano "effetto-canyon", un’immagine che rende bene l’idea. Dunque se i blocchi, sporadici o parziali, non risolvono il problema generale dello smog, di certo rendono l’aria più respirabile per chi abita, cammina o si sposta lungo le arterie più trafficate.

Cambiare volto alle metropoli

Vincere lo smog è possibile, il fatto che negli anni sia diminuito lo dimostra. La strada passa per interventi che agiscano su tutte le fonti, non su una soltanto, e per un cambio degli stili di vita. Servono misure coordinate e con una distribuzione delle risorse su un’area più vasta possibile, non solo a beneficio delle zone centrali di una metropoli. Rinnovo delle caldaie e del parco auto, migliore isolamento termico degli edifici, limiti e controlli di tutte le combustioni, più investimenti nel trasporto pubblico, sviluppo deciso della mobilità leggera: niente è decisivo, ma tutto è importante. La condizione è che vi sia un coordinamento e si evitino di creare zone – e cittadini – di serie A e B. Se lo smog uccide, la battaglia deve diventare un’ossessione condivisa anche a livello di opinione pubblica. Una manciata di «zone 30 all’ora» o qualche ciclabile qua e là, magari usata per la sosta dei furgoni, non fanno precipitare l’inquinamento. Creare isole ambientali diffuse, rendere pedalabili un numero elevato di strade, e ridisegnare le città a misura dei soggetti più fragili, può invece contribuire a rendere la qualità della vita più alta per tutti. Ricordando che ha poco senso lasciare la macchina nel box, se poi a casa la sera si accende il camino.