Ma quanto ci costano i Cie e i controlli alla frontiere, poco dignitosi per le persone e alla fine inefficienti per la sicurezza. L’accusa di sprechi viene da due studi i quali, conti alla mano, puntano il dito contro le politiche italiane di contrasto all’immigrazione irregolare, che hanno impiegato oltre un miliardo e 600 milioni di euro per cercare - invano - di chiudere le porte della fortezza Europa negli ultimi sei anni. Senza contare che 55 milioni se ne vanno ogni anno per tenere in vita il "buco nero" dei Cie, che "ospitano" (non sono formalmente detenuti) centinaia di migranti in attesa di identificazione ed espulsione con un limite massimo di trattenimento di 24 mesi. Una scelta bipartisan, visto che sono stato istituiti nel 1998 dalla legge Turco-Napolitano e via via ampliati dai governi dei due schieramenti. Cifre importanti in epoca di crisi, tagli e spending review, impennatesi dopo il 2009 con il pacchetto sicurezza per i migranti e poi, ancora, con l’Emergenza Nordafrica, ma che hanno prodotto nemmeno 80 mila rimpatri. Lo rivelano l’indagine “Costi disumani” redatto dall’associazione Lunaria con il supporto di Open Society Foundations e lo studio risalente ai primi di maggio curato dalla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa intitolato "Criminalizzazione dell’immigrazione irregolare". Secondo Lunaria la spesa pubblica per fronteggiare gli ingressi e le presenze illegali, dal 2005 al 2012, ammonta a un miliardo e 668 mila euro, di cui 1,3 stanziati dallo Stato italiano e 281 milioni dall’Unione Europea. Un miliardo è stato speso per l’attività dei vari centri per migranti, come Cie e Cara, mentre 330 mila sono stati impiegati nel controllo delle frontiere (al 50% circa fondi comunitari) e 117 milioni nelle cooperazione internazionale con paesi terzi. Venti milioni sono andati al rimpatrio volontario assistito e 37 ai rientri forzati La ricerca denuncia anche scarsa trasparenza e “reticenza delle autorità competenti, in particolare il ministero dell’Interno, a fornire dati e informazioni a soggetti terzi”. La frammentazione delle fonti di finanziamento rende difficile tracciare un quadro chiaro. Non è possibile, infatti, aggiungere le cifre stanziate dall’Italia per il funzionamento dell’agenzia europea Frontex per il controllo delle frontiere. Il rapporto, che esamina documenti ufficiali italiani, comunitari e internazionali, conclude che i Centri di identificazione e di espulsione non sono efficaci nel contrasto all’immigrazione irregolare ed espongono i migranti a gravi violazioni dei diritti umani “inaccettabili in uno Stato di diritto”. Pertanto è urgente chiuderli, conclude Lunaria, ripetendo quanto chiesto a gran voce da numerose organizzazioni della società civile. Conclusioni alle quali era giunto, solo con valutazioni economiche, anche il Sant’Anna, i cui curatori calcolavano - mettendo insieme i costi di gestione, quelli per l’attività legale e quelli di costruzione e ristrutturazione delle strutture - in 80 mila euro la spesa per costruire un solo posto letto in più, in circa 20 milioni di euro l’anno la gestione complessiva di tutti i Cie italiani, in 350 euro il gratuito patrocinio a carico dello Stato per una sola persona, mentre 10 euro servono per l’emissione di ogni provvedimento di convalida del trattenimento da parte del giudice di pace e 20 costa il giudice per ogni udienza. A fronte di questi danari, su 169mila persone “transitate” nei centri tra il 1998 e il 2012, sono state soltanto 78mila (il 46%) quelle effettivamente rimpatriate contro 540 mila migranti rintracciati in Italia in posizione irregolare tra il 2005 e il 2011. Sempre in quel periodo gli stranieri che non hanno ottemperato all’espulsione sono stati il 60%, pari a 326mila persone, mentre i respinti alla frontiera sono stati il 13,6% (73.500 persone), gli allontanati sono stati pari al 26,1% (141.020). Nel complesso, quindi, chi è stato allontanato tramite respingimenti alle frontiere e provvedimenti di espulsione rappresenta il 39,7% del totale dei migranti rintracciati in posizione irregolare. E nel 2009 con la sanatoria le domande di chi lavorava in nero e senza permesso sono state 134mila. Altro che politiche di sicurezza, insomma. A fronte dell’ingente spesa pubblica i risultati delle “politiche del rifiuto” sono limitati e inefficaci. Trovare un’alternativa credibile è la nuova rotta, ma per ora resta una sfida.