Attualità

L'ATTACO ALLO STATO. Stragi di mafia, i vecchi veleni di Riina

Nello Scavo sabato 25 luglio 2009
E' durato tre ore l’interrogatorio del boss mafioso Salvatore Riina. Ieri mattina è stato sentito nel carce­re milanese di Opera dal procuratore ca­po di Caltanissetta Sergio Lari, che ha riaperto le inchieste sulle stragi mafiose del ’92. L’avvocato Luca Cianferoni, storico di­fensore del boss, lascia intendere che qualcosa Riina avrebbe detto, ma non chiarisce come il suo assistito ha spiegato le dichiarazioni di qualche giorno fa, quando disse che «Paolo Borsellino l’hanno ammazzato loro», riferendosi a pezzi di Stato coinvolti nella stagione stragista. «Ci sono innocenti in carcere e colpevoli fuori», ha insistito Cianferoni. In molti si domandano perché Riina vo­glia parlare oggi, 17 anni dopo le stragi. Fidarsi del 'capo dei capi' non è imma­ginabile. Ma non è vero che il boss ab­bia aperto bocca solo ora. Nel corso del processo a Firenze per l’attentato agli Uf­fizi, il capo corleonese prese la parola a sorpresa, anticipando quanto accade in questi giorni, con le accuse a tronconi di Stato coinvolti nella strategia terroristi­ca di Cosa nostra. La testimonianza dal­la viva voce di Riina, che Avvenire pub­blica oggi sul sito internet (www.avveni­re. it), è sconcertante. Eccezion fatta per Avvenire e Antimafia2000 , la notizia 'sfuggì' al circuito mediatico. Era il 22 maggio del 2004. Riina parlò degli at­tentati e rispose direttamente, rompen­do un silenzio decennale, al «non ci sto» pronunciato dal presidente Scalfaro nel 1993. Il vecchio capobastone fece riferi­mento anche alla trattativa tra i carabi­nieri e Massimo Ciancimino, figlio del­l’ex sindaco di Palermo don Vito, il qua­le oggi dichiara di poter consegnare agli inquirenti il 'papello', l’ormai leggen­dario elenco delle richieste di Cosa no­stra allo Stato. Le prime insinuazioni sono relative all’e­liminazione del giudice Giovanni Falco­ne: «C’è un aereo nel cielo che vola nel mentre che scoppia la bomba, questo aereo non si può trovare per sapere di chi è?». Si trattava di un velivolo che sa­rebbe stato utilizzato dai servizi segreti, ma sul quale non si è mai fatta sufficiente chiarezza. Quanto alla strage di via D’A­melio, Riina raccontò ciò che verrà a­c­È certato solo parzialmente: «Sul Monte Pellegrino (che sovrasta Palermo, ndr) c’è l’hotel e nell’hotel ci sono i servizi se­greti, cosa succede: che scoppia la bom­ba, i servizi segreti scompaiono, però non vengono mai citati». Quindi il pas­saggio più forte, l’unico nel quale l’an­ziano boss abbandona il tono ostenta­tamente mansueto per alzare la voce co­me un vero capomafia: «Quando Scalfa­ro dice 'io non ci sto', io debbo dire, si­gnor presidente, io non ci sto, io non ci sto a queste condanne così, queste so­no condanne di Stato, a tavolino». L’ex Capo dello Stato ha spiegato nei giorni scorsi al Corriere della Sera che la sua reazione era motivata, perché «dietro quelle vicende si intravedeva, se non u­na strategia unitaria che riconducesse ad apparati dello Stato, un intreccio di in­teressi ». Una trattativa segreta, condotta a colpi di mattanza. Proseguendo nella sua de­posizione il boss Corleonese fa ancora riferimento ai servizi segreti e a contatti che avrebbero avuto con il pentito Di Carlo (un cugino del quale verrà poi tro­vato impiccato nel carcere di Rebibbia). Infine l’ultima 'suggestione', quella che oggi sembra confermare che non tutte le illazioni di Riina fossero infondate. Nel­la sua deposizione del 2004 sostenne che il figlio di Ciancimino venne a sapere u­na settimana prima dell’arresto che il 'capo dei capi' stava per essere cattura­to. «E perché non si deve sentire il figlio di Ciancimino che era in contatto con i carabinieri che mi hanno arrestato?». Cinque anni dopo quelle parole, a cui pochi hanno prestato attenzione, l’uomo chiave nella riapertura delle indagini è proprio Massimo Ciancimino. Per gli inquirenti è come muoversi in un labirinto di specchi. «Non si può mai e­scludere che ci possano essere state per­sone, nell’amministrazione dello Stato, che abbiano tradito i loro doveri», ha os­servato Oscar Luigi Scalfaro. Che sugge­risce: «Non si può escludere che anche un criminale dica a volte una verità».