E' durato tre ore l’interrogatorio del boss mafioso Salvatore Riina. Ieri mattina è stato sentito nel carcere milanese di Opera dal procuratore capo di Caltanissetta Sergio Lari, che ha riaperto le inchieste sulle stragi mafiose del ’92. L’avvocato Luca Cianferoni, storico difensore del boss, lascia intendere che qualcosa Riina avrebbe detto, ma non chiarisce come il suo assistito ha spiegato le dichiarazioni di qualche giorno fa, quando disse che «Paolo Borsellino l’hanno ammazzato loro», riferendosi a pezzi di Stato coinvolti nella stagione stragista. «Ci sono innocenti in carcere e colpevoli fuori», ha insistito Cianferoni. In molti si domandano perché Riina voglia parlare oggi, 17 anni dopo le stragi. Fidarsi del 'capo dei capi' non è immaginabile. Ma non è vero che il boss abbia aperto bocca solo ora. Nel corso del processo a Firenze per l’attentato agli Uffizi, il capo corleonese prese la parola a sorpresa, anticipando quanto accade in questi giorni, con le accuse a tronconi di Stato coinvolti nella strategia terroristica di Cosa nostra. La testimonianza dalla viva voce di Riina, che Avvenire pubblica oggi sul sito internet (www.avvenire. it), è sconcertante. Eccezion fatta per Avvenire e Antimafia2000 , la notizia 'sfuggì' al circuito mediatico. Era il 22 maggio del 2004. Riina parlò degli attentati e rispose direttamente, rompendo un silenzio decennale, al «non ci sto» pronunciato dal presidente Scalfaro nel 1993. Il vecchio capobastone fece riferimento anche alla trattativa tra i carabinieri e Massimo Ciancimino, figlio dell’ex sindaco di Palermo don Vito, il quale oggi dichiara di poter consegnare agli inquirenti il 'papello', l’ormai leggendario elenco delle richieste di Cosa nostra allo Stato. Le prime insinuazioni sono relative all’eliminazione del giudice Giovanni Falcone: «C’è un aereo nel cielo che vola nel mentre che scoppia la bomba, questo aereo non si può trovare per sapere di chi è?». Si trattava di un velivolo che sarebbe stato utilizzato dai servizi segreti, ma sul quale non si è mai fatta sufficiente chiarezza. Quanto alla strage di via D’Amelio, Riina raccontò ciò che verrà acÈ certato solo parzialmente: «Sul Monte Pellegrino (che sovrasta Palermo, ndr) c’è l’hotel e nell’hotel ci sono i servizi segreti, cosa succede: che scoppia la bomba, i servizi segreti scompaiono, però non vengono mai citati». Quindi il passaggio più forte, l’unico nel quale l’anziano boss abbandona il tono ostentatamente mansueto per alzare la voce come un vero capomafia: «Quando Scalfaro dice 'io non ci sto', io debbo dire, signor presidente, io non ci sto, io non ci sto a queste condanne così, queste sono condanne di Stato, a tavolino». L’ex Capo dello Stato ha spiegato nei giorni scorsi al Corriere della Sera che la sua reazione era motivata, perché «dietro quelle vicende si intravedeva, se non una strategia unitaria che riconducesse ad apparati dello Stato, un intreccio di interessi ». Una trattativa segreta, condotta a colpi di mattanza. Proseguendo nella sua deposizione il boss Corleonese fa ancora riferimento ai servizi segreti e a contatti che avrebbero avuto con il pentito Di Carlo (un cugino del quale verrà poi trovato impiccato nel carcere di Rebibbia). Infine l’ultima 'suggestione', quella che oggi sembra confermare che non tutte le illazioni di Riina fossero infondate. Nella sua deposizione del 2004 sostenne che il figlio di Ciancimino venne a sapere una settimana prima dell’arresto che il 'capo dei capi' stava per essere catturato. «E perché non si deve sentire il figlio di Ciancimino che era in contatto con i carabinieri che mi hanno arrestato?». Cinque anni dopo quelle parole, a cui pochi hanno prestato attenzione, l’uomo chiave nella riapertura delle indagini è proprio Massimo Ciancimino. Per gli inquirenti è come muoversi in un labirinto di specchi. «Non si può mai escludere che ci possano essere state persone, nell’amministrazione dello Stato, che abbiano tradito i loro doveri», ha osservato Oscar Luigi Scalfaro. Che suggerisce: «Non si può escludere che anche un criminale dica a volte una verità».