Doveva esserci lui al posto di Maurizio Potenza ma, all’ultimo momento, martedì, il collega lo ha pregato di sostituirlo. «Adesso mi do pace solo perchè me l’ha chiesto lui» ripeteva ieri mattina Bruno Prinz, davanti alle macerie della Torre dei Piloti e alla sagoma della Jolly Nero, rosso sangue. Marconista, figlio di ufficiale marconista, Bruno Prinz ieri sera è tornato con i suoi 75 anni e il peso di questa tragedia al lavoro di sempre, perchè «bisogna farsi coraggio». E soprattutto perchè quella che si è inabissata nel mare di Genova era la sala di controllo del traffico marittimo di tutta la Liguria. «Si stanno allestendo delle soluzioni alternative» ha spiegato il procuratore capo Michele Di Lecce; più o meno nello stesso momento Bruno usciva di casa, per raggiungere la nuova postazione radio: «Le strumentazioni sono state installate su un rimorchiatore, cerchiamo di garantire il controllo del traffico perchè il porto non si fermi», ha confermato il "marconista" Bruno, con quel misto di tristezza e fatalismo che risponde alle leggi del mare.Prinz è uno dei telefonisti del corpo dei piloti, cui è affidato il controllo e il coordinamento delle operazioni di ingresso e uscita dal porto. Li conosceva tutti, i colleghi che sono morti. A partire da Maurizio Potenza, detto Power, e Michele Robazza detto Mike, perchè qui anche la vita, e non solo gli ordini, è bilingue. Conosceva meglio di tutti Sergio Basso, il marconista della rimorchiatori riuniti: «abitava a Nervi, stava mettendo a posto la casa che aveva appena preso». Ne parla da vivi, lui ne ha viste di navi e incidenti, eppure ieri parlava solo dei figli di quegli amici morti in una notte di brezza leggera, come te ne capitano poche. «Muovere quei bestioni in un porto è sempre rischioso, ma farlo in condizioni di tempo così perfette capita di rado» ammette il vecchio marinaio che un disastro di queste proporzioni non se lo ricorda. A meno di non tornare agli anni Sessanta, a una nave russa che entrò nel Bosforo e nessuno riuscì a fermarla finché non arrivò alle case. Lui, dice, era là.Il sopravvissuto Prinz ha navigato assai prima di toccare terra a Genova. Triestino per necessità - viene dall’Istria - ha vissuto per sessant’anni sulle navi e non lo impressionano le dimensioni della Jolly Nero. «Facciamo decine di manovre al giorno come questa nel porto di Genova, anche se ogni manovra è diversa, perchè dipende dalla nave, dal mare, da tanti fattori». Da quel che dice, e da come te lo raccontava ieri, capisci che una risposta per la morte dei suoi amici questo marinaio ancora non ce l’ha. Anche il ricordo della tragedia è ancora fresco e il dolore surreale: «Non ci siamo mai sentiti in pericolo in quella torre anche se oggi, vedendo che fine hanno fatto gli uffici e le cabine, dove ci si riposava, mi chiedo se sia stato proprio corretto costruirla così... Io però ho navigato una vita come radiotelegrafista e non posso valutare certe cose» precisa, perchè in mare chi valuta, decide e dice l’ultima parola è solo una persona, il comandante. È chiaro che nutre una fiducia cieca nelle leggi del mare e fino a ieri gli bastavano, per spartire il bene dal male. Anche quella poltrona da telefonista sulla torre dei Piloti fino a ieri gli pareva sicura come casa sua. Aveva scelto lui di fare il turno dalle 20 alle 4,30 perché «di notte il panorama è stupendo da lì, arrivano gli ordini, partono i piloti per accompagnare le navi dentro e fuori dal porto, tutto si svolge secondo procedure collaudatissime» raccontava, stringendo in mano le chiavi di una torre che non c’è più. E, fissandola: «Ho visto migliaia di manovre come questa e tutto è filato liscio. Ieri notte, è successo sicuramente qualcosa di strano, ma cosa?» Questa volta il mare non gli risponde.