La strage. Freno disattivato per soldi. I 3 fermati: temevamo il blocco della funivia
Dettaglio della cabina della funivia del Mottarone precipitata domenica 23 maggio uccidendo 14 delle 15 persone che vi erano all'interno
Sono Luigi Nerini, 56enne di Baveno (Verbania) proprietario della società di gestione dell'impianto Ferrovie del Mottarone, il direttore dell'esercizio Enrico Perocchio, che è anche direttore della funivia Rapallo-Montallegro, al momento ferma per alcune manutenzioni programmate, e il capo servizio Gabriele Tadini le tre persone fermate nella notte per l'incidente di domenica alla funivia del Mottarone in cui sono morte 14 persone. Al termine del lungo interrogatorio nella caserma dei carabinieri di Stresa (Verbania), i tre sono stati condotti nel carcere di Verbania.
"È stata una scelta precisa e condivisa quella di disinnescare, diciamo così, questo impianto frenante di emergenza" ha detto la procuratrice di Verbania, Olimpia Bossi. "Per quello che ci risulta oggi il 'forchettone' è stato inserito più volte. Non sono in grado di dire se in maniera costante o soltanto quando si verificavano questi difetti di funzionamento".
I fermati hanno ammesso le responsabilità loro contestate, ha detto il comandante provinciale dei Carabinieri di Verbania, tenente colonnello Alberto Cicognani. "Il freno non è stato attivato volontariamente? Sì, sì, lo hanno ammesso". "C'erano malfunzionamenti nella funivia - ha spiegato l'ufficiale - è stata chiamata la manutenzione, che non ha risolto il problema, o lo ha risolto solo in parte. Per evitare ulteriori interruzioni del servizio, hanno scelto di lasciare la "forchetta", che impedisce al freno d'emergenza di entrare in funzione".
Le ipotesi di reato sono omicidio colposo plurimo, disastro colposo e rimozione degli strumenti atti a prevenire gli infortuni aggravato dal disastro e lesioni gravissime (in relazione alle condizioni del piccolo Eitan ricoverato al Regina Margherita di Torino).
Quanto alla presenza di un secondo freno, la procuratrice precisa: "Non parliamo di un secondo freno, sono questi forchettoni che sono composti da due parti". E in effetti il secondo pezzo del "forchettone", che ha impedito l'entrata in funzione dei freni di emergenza, è stato trovato in mattinata nella zona dell'incidente dai tecnici del Soccorso alpino piemontese poco distante dai rottami della funivia.
La svolta è arrivata quasi all'alba, dopo una notte di interrogatori serrati e, a tratti, anche tesi e drammatici. A disporre il fermo è stata la procuratrice Bossi, che con la pm Laura Carrera coordina le indagini dei carabinieri, in seguito all'analisi della cabina precipitata e agli interrogatori. Un confronto di oltre dodici ore con dipendenti e tecnici dell'impianto convocati nella caserma dell'Arma, a Stresa, dal pomeriggio di ieri. Persone informate sui fatti, in un primo momento, ma già ieri sera, con l'arrivo dei primi avvocati, è stato chiaro che la posizione di alcuni di loro era cambiata. Dopo mezzanotte è arrivato anche Nerini, raggiunto in seguito anche dal suo difensore, l'avvocato Pasquale Pantano.
Nei confronti dei tre fermati, per i quali la procura di Verbania chiederà nelle prossime ore la convalida del fermo e la misura cautelare, è stato raccolto quello che Bossi definisce "un quadro fortemente indiziario". L'analisi dei reperti ha infatti permesso di accertare che "la cabina precipitata presentava il sistema di emergenza dei freni manomesso". Per gli inquirenti, il "forchettone", ovvero il divaricatore che tiene distanti le ganasce dei freni che dovrebbero bloccare il cavo portante in caso di rottura del cavo trainane, non è stato rimosso. Un "gesto materialmente consapevole", per "evitare disservizi e blocchi della funivia", che da quando aveva ripreso servizio, presentava "anomalie".
Entrata in funzione da circa un mese, dopo lo stop a causa della pandemia, la funivia del Mottarone "era da più giorni che viaggiava in quel modo e aveva fatto diversi viaggi", precisa Bossi. Interventi tecnici, per rimediare ai disservizi, erano stati "richiesti ed effettuati", uno il 3 maggio, ma "non erano stati risolutivi e si è pensato di rimediare". Così, "nella convinzione che mai si sarebbe potuto verificare una rottura del cavo, si è corso il rischio che ha purtroppo poi determinato l'esito fatale", sottolinea il magistrato, che parla di "uno sviluppo consequenziale, molto grave e inquietante, agli accertamenti svolti".
In effetti uno dei fermati, Gabriele Tadini, durante l'interrogatorio secondo l'Ansa ha detto che "la preoccupazione era il blocco
della funivia. Stavamo studiando quale poteva essere la soluzione per risolvere il problema" al sistema frenante di sicurezza. Tadini ha parlato per almeno 4 ore e ha riempito, come è stato riferito, parecchie pagine di verbale.
Le indagini non sono finite. E non solo perché, con l'intervento dei tecnici, sarà necessario confermare quanto emerso dai primi accertamenti. La procura di Verbania intende infatti "valutare eventuali posizioni di altre persone". "Si è tutto accelerato nel corso del pomeriggio e di questa notte - conclude la procuratrice lasciando la caserma -. Nelle prossime ore cercheremo di verificare, con riscontri di carattere più specifico, quello che ci è stato riferito". I fermati avevano, "dal punto di vista giuridico ed economico, la possibilità di intervenire. Coloro che prendevano le decisioni".
"È il nostro 11 settembre"; così la sindaca di Stresa Marcella Severino definisce la tragedia. prima di raggiungere la chiesa dove si svolge una messa in suffragio delle vittime.