Strage di Ustica. Le piste non battute che conducono a Tripoli e a Londra
«Devono cercare Jallud. Non parlerà. Ma non si sa mai». La vecchia volpe dell’intelligence ha buona memoria, diverse ruggini coi francesi per alcune trappole all’epoca della rivolta contro Gheddafi, e soprattutto indica il nome di un’altra capitale a cui andare a bussare per chiedere di Ustica: Londra.
L’appello alla verità di Giuliano Amato non è caduto nel vuoto e sta agitando le acque. Il governo italiano sembra intenzionato a fare pressioni su Parigi, i cui caccia avrebbero ingaggiato una guerra aerea che ha portato all’abbattimento del volo di linea Bologna-Palermo. Alcune risposte potrebbero però trovarsi nei forzieri del servizio segreto britannico. Come siano arrivati fino a lì non è in realtà un rebus. Alla caduta di Gheddafi gli 007 di mezzo mondo facevano a gara per assicurarsi un posto al sole quando le acque si sarebbero calmate e la Libia sarebbe tornata ad essere non più un luogo di guerra, ma l’irrequieta isola infelice che galleggia sul petrolio. Jallud riuscì a fuggire con l’assistenza di Roma, anche se da molti anni non si sa che fine abbia fatto. Hannibal Gheddafi, figlio del rais libico, ha pubblicato una sibillina foto dell’ex amico di famiglia diventato poi avversario di Gheddafi padre, immortalato ai piedi della Tour Eiffel. Il tweet è del 2019, quando Hannibal era già agli arresti in Libano. A Beirut, dove ha intrapreso nelle settimane scorse uno sciopero della fame, è indagato per la sparizione di Musa Sadr, storico capo carismatico degli sciiti libanesi misteriosamente scomparso durante un viaggio a Tripoli nel 1978. «Chiedete a Jalloud», ha scritto il rampollo dei Gheddafi.
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Quello di Abdessalam Jallud è un nome chiave ma dimenticato nei misteri italiani. Maggiore dell’esercito libico, era stato il braccio destro del colonnello Gheddafi fino a diventare capo del governo e dei servizi segreti di Tripoli. Si devono a lui le eliminazioni mirate di oppositori del regime libico che avevano trovato riparo nel nostro Paese. I sicari di Gheddafi e Jallud agivano pressoché indisturbati nel nostro Paese, grazie alle coperture di una parte dei servizi segreti italiani dell’epoca. Vecchie amicizie corroborate da scambi di favori e promesse di un salvacondotto. Puntualmente arrivato nel 2011.
Il 27 giugno 1980 il velivolo “DC9 I-TIGI” della compagnia Itavia decolla dall’aeroporto “Guglielmo Marconi” di Bologna. A bordo 81 passeggeri, 64 adulti, 11 bambini tra i 2 e i 12 anni, 2 bambini di età inferiore ai 24 mesi, oltre ai 4 uomini dell’equipaggio. Il volo “IH870” è diretto a Palermo e parte alle 20.08, con due ore di ritardo. Un dato che da solo elimina l’ipotesi della bomba a orologeria, visto che a bordo nessuno dei passeggeri è stato indicato dalle indagini come legato a organizzazioni terroristiche né aveva un passato che avrebbe potuto ricondurlo a operazioni kamikaze. L’atterraggio è previsto per le 21.13. Tutto procede regolarmente fino all’ultimo normale contatto radio tra il velivolo e “Roma Controllo”, avvenuto alle 20.58. Alle 21.04, chiamato per autorizzare l’avvio della discesa su Palermo, il Dc9 è già sparito dai radar. Nel corso di alcune interviste Jalloud spiegò che nella notte di Ustica i Mig in erano due: uno venne trovato a pezzi sulla Sila, l’altro non è mai stato rintracciato. Tra le varie teorie vi è quella che a bordo di uno dei due aerei sovietici nella disponibilità di Tripoli vi fosse non Gheddafi, ma proprio Jallud diretto da qualche parte verso il blocco dell’ex Urss per dei vertici segreti.
Anni dopo la strage di Ustica, quando Gheddafi accettò di risarcire le famiglie delle vittime di Lockerbie, il colonnello disse ai suoi fedelissimi che avrebbe pagato i danni per quell’attentato a danno dell’aereo americano della Pan Am «ma sia chiaro: noi con Ustica non c’entriamo nulla». Era il 21 dicembre 1988 quando una bomba esplose sul Boeing 747 che da Londra andava a New York. L’aereo precipitò nella piccola città scozzese di Lockerbie, provocando la morte di 270 persone: tutti i passeggeri e membri dell’equipaggio e 11 persone a terra, le cui case vennero colpite dai detriti. L’unica persona ad esser stata finora condannata in via definitiva è Abdelbaset al-Megrahi, processato nel 2001 in un tribunale scozzese convocato nei Paesi Bassi. Venne incarcerato a vita, ma rilasciato nel 2009 dopo la diagnosi di cancro, malattia per la quale morì nel 2012 in Libia. Negli Usa è invece agli arresti dal dicembre scorso Abu Agila Masud, il libico accusato di aver fabbricato la bomba che esplose sul volo Pan Am 103.
Contattato una prima volta dalla magistratura italiana, l’ex maggiore Jallud non disse una parola. Una cosa però è stata accertata. Mentre lui scappava da Tripoli per mettersi in salvo dall’ira di Gheddafi e dalla diffidenza dei ribelli, l’archivio del servizio segreto gheddafiano venne prese in carico dagli 007 britannici mentre l’ex maggiore è ancora sotto protezione dei servizi segreti italiani.