L'anniversario. Strage dell'Italicus, 50 anni senza verità
L'Italicus sventrato nella stazione di San Benedetto Val di sambro
Dalla lamiera contorta spuntano braccia protese disperatamente. Il monumento dedicato all’Italicus, il treno saltato in aria la notte del 4 agosto 1974, giace in cima a una scalinata di fronte alla stazione di San Benedetto Val di Sambro, sull’Appennino bolognese. L’opera è stata realizzata utilizzando una portiera del convoglio, deformata dalle fiamme, e scolpisce brutalmente ciò che vide in quella notte infernale Paolo Vandelli, che allora aveva 17 anni. «Era l’1.23, ero a letto – ricorda -. Sentii un boato fortissimo. Con mio padre, agente Polfer, ci precipitammo in stazione per capire cosa fosse successo. Mi trovai di fronte il treno ancora in fiamme. Dietro i finestrini c’erano mani che si agitavano, che chiedevano aiuto. Una scena terribile, ce l’ho ancora davanti agli occhi: prendemmo gli estintori e iniziammo a spegnere il rogo».
Abitava di fronte allo scalo, Vandelli, in località Spianamento. La frazione è chiamata così perché una collina fu appunto “spianata” per costruire le case per i ferrovieri: da queste parti il passaggio dei treni ha dato il pane a centinaia di famiglie, contribuendo ad arginare lo spopolamento montano. Chi l’avrebbe detto che il motore dell’economia locale avrebbe portato un carico di morte.
Da alcuni mesi la stazione di San Benedetto è chiusa per il potenziamento della linea: stanno lavorando anche nel tunnel dell’orrore, la Grande galleria dell’Appennino. Dal limitare della banchina si scorge il buco nero sotto la montagna: l’Italicus in fiamme sbucò da lì, squarciando il buio e il silenzio di una tranquilla notte d’estate, per poi fermare la sua corsa nella piccola stazione e spezzare per sempre la tranquillità di San Benedetto Val di Sambro, piccolo comune sparpagliato tra boschi e campi di girasole.
«Eravamo proprio qui, con gli amici stavamo facendo notte: qualche sigaretta, tante risate – ricorda Stefano Perazza, all’epoca 17enne, indicando l’imbocco del paese – poi dal fondovalle sentimmo arrivare un finimondo di sirene. Salimmo sui motorini per andare a vedere, ma era tutto transennato. Allora non c’era Internet, ci dissero il giorno dopo cosa era accaduto. Sembrava incredibile: un fatto così brutto in un posto così bello».
La bomba scoppiò a 50 metri dall’uscita della galleria. «Il macchinista fu bravo ad accelerare, quando sentì il botto. Se avesse frenato istintivamente – osserva Vandelli -, l’Italicus sarebbe rimasto intrappolato nella galleria e la strage sarebbe stata ancora più grave». Al mattino si contarono 12 vittime. Tra loro anche il piccolo Marco Russo, malato di leucemia: con la famiglia tornava da un viaggio a Firenze. I genitori, morti con lui, lo portavano in giro per l’Italia nella speranza di distrarlo dalla malattia. «Vidi i corpi allineati sul marciapiede tra il secondo e il terzo binario, coperti da lenzuola bianche» continua Vandelli. Quel giorno c’era anche il ferroviere Bruno Mattei. «Seppi durante la notte che c’era stato un attentato all’Italicus. Mi aspettavo di vedere una carrozza annerita da una fiammata. Invece mi trovai davanti la scena di un film di guerra. La quinta carrozza, dove ci fu l’esplosione, era gonfia e interamente bruciata».
Un incubo a occhi aperti, che nessuno avrebbe immaginato di rivivere. E invece il 23 dicembre 1984, poco prima delle 20, il Rapido 904 esplode in piena galleria. Questa volta, il convoglio dilaniato si ferma sotto gli Appennini, a 12 km dall’uscita. In servizio c’è anche Vandelli, che nel frattempo è diventato a sua volta ferroviere. Insieme al collega Giuseppe Facchini è tra i primi ad entrare nel tunnel. Prendono un carrello usato per i lavori sulla linea e si lanciano nell’oscurità. «C’era fumo dappertutto – ricorda Facchini – si faticava a respirare. Pericoloso? Sì, ma in quei momenti fai quel che devi, senza pensarci. Quando siamo arrivati al treno abbiamo visto alcuni passeggeri che erano già scesi dalle carrozze e vagavano sui binari. Li abbiamo aiutati ad avviarsi verso l’uscita, caricando sul mezzo i feriti più gravi. Per ore abbiamo fatto la spola: portavamo dentro i soccorritori e uscivamo trasportando le vittime. Quell’orrendo odore di bruciato è rimasto per mesi in cabina…». Vandelli procede per flash back: «Sul pavimento del carrello c’era una grata, sotto scorreva letteralmente il sangue. All’improvviso vedemmo una signora elegante, avvolta nella sua pelliccia. Camminava con i tacchi lungo i binari portando due valigie, con lo sguardo fisso davanti a sé. Non riuscivamo a fermarla». Vandelli scuote la testa, le parole si spengono lentamente. I ricordi sono come lame: rivoltarli nella piaga fa ancora malissimo. «Nella memoria della comunità restano due ferite profonde – dice il sindaco Alessandro Santoni – Quel che stiamo facendo ora è trasmettere la storia dei due treni ai ragazzi delle scuole, attraverso iniziative e testimonianze. Presto rifaremo la piazza davanti alla stazione per dare centralità al monumento dell’Italicus, è il minimo che possiamo fare». Sarebbe un modo per far sapere a chi è di passaggio che queste terre amene hanno vissuto sulla loro pelle la straziante stagione delle bombe. Dalla frazione della Madonna dei Fornelli passa la Via degli Dei. Ma i giovani escursionisti ignorano che proprio in questi luoghi la strategia della tensione si è compiuta con ferocia.
A poche centinaia di metri dalla galleria della vecchia “direttissima” presa di mira nel 1974 scorrono il tunnel dell’alta velocità e due autostrade. Un collo di bottiglia che è sempre stato cruciale per l’Italia: non è un caso che si sia deciso di colpire proprio qui. La psicosi dell’attentato è rimasta per anni. «Mi capitò di vedere un passeggero gettare una borsa dal treno in corsa perché non si sapeva a chi appartenesse - ricorda Lamberto Vacchi, ex arbitro di atletica leggera e cultore della storia locale - Stessa cosa faceva la Polfer quando i treni fermavano a San Bendetto. Gli agenti salivano e se c’era un bagaglio abbandonato lo gettavano sui binari».
Ogni anno viene organizzata una camminata per ricordare le vittime. Un gesto semplice e spontaneo per tenere vivo il ricordo tra la gente comune. Poi c’è la commemorazione ufficiale, che da sempre si sovrappone a quella del massacro dell’estate 1980 alla stazione di Bologna: due stragi vicine nel tempo, nello spazio e con ogni probabilità anche nel significato. Eppure resta l’amara sensazione di essere vittime di un attentato minore: «Ogni 2 agosto - dice il sindaco Santoni - scendiamo nel capoluogo per radunarci con le altre istituzioni, poi un treno speciale risale fino qui, anche se non sono molti quelli che ci accompagnano… Negli ultimi anni a San Benedetto non è più venuto nessun rappresentante dello Stato: l’ultimo fu il presidente del Senato Pietro Grasso». L’Italicus è una pagina di storia sbiadita, un po’ come la rosa che spunta dal monumento. Finta e scolorita dalla pioggia.