Attualità

14enne investito a Milano. Stiamo costruendo la città a misura di ragazzi?

Marcello Bramati, docente di scuola superiore mercoledì 9 novembre 2022

Caro direttore,

ogni volta che muore un ragazzo mentre è nel suo ruolo di studente, dobbiamo scandalizzarci. È accaduto per le morti di Lorenzo, Giuseppe e Giuliano, occorse tutte quest’anno nell’ambito di stage e attività previste dai loro indirizzi di studio, è avvenuto qualche anno fa, nel 2019 e sempre a Milano, quando Leonardo, un bimbo di nemmeno sei anni, è morto cadendo dalle scale della sua scuola primaria, la Pirelli in zona Bicocca.

È successo ancora ieri, quando la frenesia della mia città, Milano, ha avuto un sussulto dopo le ore 8, perché Luca Marengoni, di anni quattordici, è stato travolto e ucciso da un tram mentre stava andando a scuola. Era ormai a poche centinaia di metri dal suo liceo, e forse andava svelto per non fare tardi, quando la sua vita è stata spezzata. Un tram, uno dei simboli di Milano - così come lo è l’andar di fretta - lo ha travolto. La notizia è comparsa sui siti di tutta Italia nel giro di un’oretta ed è arrivata in tutte le scuole nel corso dei primi intervalli. “Un ragazzo è morto in un incidente mentre andava a scuola”, poi un nome, il cognome, l’età, la via dello schianto, le immagini del mezzo pubblico coinvolto e del telaio di quel che resta della bicicletta di Luca, poi ancora la scuola di appartenenza, l’Einstein, le parole delle istituzioni, il lutto cittadino annunciato dal sindaco Beppe Sala. Tutti ingredienti di una tragedia che si fatica ad accettare e che non si comprenderà mai, ma che è accaduta e che è annodata ad altre sue simili. Ho visto gli studenti della mia scuola strabuzzare gli occhi, cercare altro per leggere ancora e volerne sapere di più, mandare un vocale a riguardo e ascoltarne, chiedere di parlarne all’inizio dell’ora successiva, senza cercare risposte, ma del tutto sgomenti da una dinamica che avrebbe potuto toccare ognuno di loro e che inevitabilmente li riguarda, così come deve riguardare ognuno di noi.

Non ha senso congetturare su dinamica e responsabilità, sarebbe imprudente e irrispettoso, però sorge indignata una riflessione sulle nostre scuole e non possiamo fare a meno di chiederci se siano a misura di bambino e, se non lo sono, quanto manchi – e cosa si aspetti – perché lo siano. Allo stesso modo, proprio oggi non possiamo non chiederci se le nostre città siano a misura di ragazzo, il cui mezzo di trasporto è per lo più la bicicletta, e se non lo sono, cosa si sta attendendo perché lo diventino con piste ciclabili, limiti di velocità e tecnologie di frenata e di arresto dei mezzi pubblici adeguate. E’ sempre tardi porsi questi interrogativi con un cadavere a terra e una famiglia distrutta e certamente sono consapevole che non tutte le morti sono evitabili, ma è ora necessario occuparsi di ciò che è possibile proporre a mettere in atto, perché uno studente che va a scuola e non rientra a casa è una tragedia che non può più ripetersi.

Non bastano più le bandiere a mezz’asta e le commemorazioni che non servono ad altro che a voltare pagina, così come non basta più il latinorum delle istituzioni sui chilometri di ciclabile inaugurati e su quanto sia tragico questo o quell’evento. Le nostre città rombano di motori che vanno di fretta e pedoni e ciclisti, anche loro tutti sempre di fretta, rischiano inciampano cadono e muoiono. Travolti. Serve progettare e fare di più, molto di più, iniziando da una proposta politica coraggiosa che stravolga l’inferno cittadino in cui abitiamo, per costruire scuole e città in cui si possa vivere pienamente e, prima ancora - per quanto sia incredibile scriverlo nel 2022 - sopravvivere. Che ci si impegni, civilmente e politicamente, costi quel che costi, perché questa tragedia sia l’ultima.