Riforma costituzionale. Stato-Regioni, equilibrio difficile
Tutti gli occhi sono puntati sul nuovo Senato. Ma il cuore 'economico' del disegno di legge costituzionale è l’ampia revisione del titolo V e dei poteri delle Regioni, in correzione della riforma approvata dal centrosinistra nel 2001. La lente d’ingrandimento va sull’articolo 117 della Carta, in cui si allargano in modo forte le materie in cui lo Stato ha «legislazione esclusiva », in cui cioè sono il governo e il Parlamento a decidere cosa si fa e come.
SALUTE, SOCIALE, AMBIENTE, ENERGIA E INFRASTRUTTURE: DECIDE ROMA La lista delle materie in cui è lo Stato a 'comandare' si estende sino a comprendere le «disposizioni generali e comuni» su tutela della salute e politiche sociali, scuola e università, ricerca, commercio con l’estero, tutela e valorizzazione dei beni culturali e paesaggistici, turismo, governo del territorio, protezione civile, «produzione, trasporto e distribuzione dell’energia», «infrastrutture strategiche e grandi reti di trasporto, porti e aeroporti ». Si tratta di competenze che prima erano gestite in modo «concorrente », nel senso che Stato e Re- gioni erano corresponsabili delle leggi a riguardo. L’intero comma riguardante la «legislazione concorrente » è infatti abrogato. Non solo. Il precedente articolo 117 specificava che alle Regioni restava la «potestà legislativa» su «ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato». Questo comma è sostituito da una lista precisa di materie su cui i Consigli e le Giunte avranno potere reale: minoranze linguistiche, pianificazione del territorio e mobilità regionale, «programmazione e organizzazione dei servizi sanitari e sociali », promozione dello sviluppo e organizzazione della formazione professionale, diritto allo studio, disciplina delle attività culturali e della promozione dei beni ambientali e paesaggistici. A sentire il «sì», i nuovi rapporti di forza Stato-Regioni prendono atto delle sentenze della Corte costituzionale sul coordinamento della finanza pubblica e limitano di molto i contenziosi tra Roma e Consigli regionali che intasano la Consulta. Il fronte del «no» è convinto che si è proceduto ad un autentico 'svuotamento' delle Regioni, andando ben oltre l’obiettivo di aggiustare la riforma del 2001 che diede ai territori più potere di legiferare e spendere.
LA CLAUSOLA DI SUPREMAZIA A rafforzare l’impianto del nuovo articolo 117 arriva inoltre la cosiddetta 'clausola di supremazia': «Su proposta del governo, la legge dello Stato può intervenire in materie non riservate alla legislazione esclusiva quando lo richieda la tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica ovvero la tutela dell’interesse nazionale». Roma potrebbe intervenire anche quando non le compete, magari per sbloccare un’opera o un’infrastruttura che si ritiene importante per tutto il Paese.
LE REGIONI DI 'SERIE A' La sostanziale diminuzione di poteri che tocca le Regioni non sembra lambire però le cinque 'a statuto speciale': Sicilia, Sardegna, Valle d’Aosta, Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige. Su queste realtà lo Stato continua a non poter intervenire con le stesse prerogative che esercita sulle altre. A parziale risarcimento, viene offerta anche alle Regioni a statuto ordinario la possibilità di diventare più autonome se dimostreranno di tenere i conti in ordine. Un’autonomia, però, limitata ad alcune materie: giustizia di pace, politiche sociali, politiche attive del lavoro e formazione professionale, commercio con l’estero, governo del territorio. Questa 'autonomia' va approvata da entrambe le Camere.
I RAPPORTI CON CAMERE E GOVERNO Il Senato diviene, per composizione, una Camera che rappresenta le autonomie locali. Tuttavia, Palazzo Madama non gode di 'pieno potere legislativo' su molte delle materie che riguardano proprio Regioni e Comuni. Quando ci saranno misure che riguardano gli enti territoriali, i senatori potranno 'richiamarle' per fare proposte di modifiche che tuttavia Montecitorio potrà bocciare. I testi che riguardano le autonomie avranno il proprio cuore a Palazzo Chigi e a Montecitorio, dunque. La scommessa è che il nuovo Senato sappia essere una sorta di camera di compensazione per evitare conflitti. E che i maggiori poteri legislativi affidati allo Stato centrale si traducano in una maggiore chiarezza delle responsabilità istituzionali e in uno sfoltimento della giungla normativa.