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Studio. Stanchi e nervosi: la scienza può dirci quando prendere le decisioni migliori

Andrea Lavazza giovedì 28 novembre 2024

Un disegno che raffigura il cervello

La saggezza popolare, e la nostra esperienza, ce lo suggeriscono: quando siamo stanchi, non prendiamo le decisioni migliori e tendiamo anche a essere più “nervosi”. Ma è molto difficile capire quando superiamo la soglia critica dell’affaticamento e, soprattutto, siamo cattivi giudici di noi stessi, perché tendiamo a sopravvalutare le nostre capacità in ogni situazione.

Uno studio apparso in questi giorni, confermando scientificamente il buon senso antico, apre la possibilità sia misurare la stanchezza cerebrale sia di spiegare i meccanismi che sottostanno ai cambiamenti comportamentali.

Un gruppo di ricercatori di neuroscienze ed economia della Scuola IMT Alti Studi Lucca (in collaborazione con ricercatori dell’Università di Firenze) ha indagato il controverso concetto di "esaurimento dell'io" (la diminuzione della forza di volontà causata dal suo utilizzo prolungato) collegandolo a cambiamenti nelle aree cerebrali che governano le funzioni esecutive. In particolare, l’affaticamento sembra corrispondere, nel cervello sveglio, a un aumento delle onde dell’elettroencefalogramma (EEG) tipiche del sonno nella zona della corteccia frontale dedicata alla presa di decisioni.

Le teorie riguardanti la cosiddetta Ego Depletion propongono che l’autocontrollo sia una risorsa cognitiva limitata per ogni individuo e che, di conseguenza, più viene esercitato più si riduce. Negli ultimi anni, tuttavia, questa teoria è stata criticata: studi successivi non sempre sono riusciti a replicare l’effetto del "consumo" della forza di volontà negli individui impegnati in compiti cognitivi impegnativi.

Riprendendo questo filone di indagine sul piano neuroscientifico, la ricerca condotta all’IMT di Lucca ha identificato un fenomeno chiamato "sonno locale". Esso si verifica quando alcune aree del cervello di un individuo in stato di veglia cominciano a mostrare, nell’EEG, l’attività tipica del sonno, in particolare le onde delta. È stato dimostrato che ciò avviene soprattutto in casi di affaticamento mentale. «La nostra ipotesi di partenza era che il sonno locale fosse la manifestazione neuronale del fenomeno dell’esaurimento dell'io noto alla psicologia», osserva Erica Ordali, ricercatrice presso la Scuola IMT e prima autrice dello studio.

Per testare questa ipotesi, i ricercatori hanno sottoposto un gruppo di volontari a compiti cognitivi impegnativi della durata di un’ora. Successivamente, i partecipanti sono stati coinvolti in giochi economici che richiedevano vari gradi di aggressività e cooperazione. Rispetto a un gruppo di controllo non sottoposto ad affaticamento cognitivo, gli individui affaticati si sono dimostrati significativamente meno cooperativi e più ostili. Nello specifico, il tasso di cooperazione pacifica è sceso dall’86% nel gruppo "senza affaticamento" al 41% nel gruppo "affaticato".

Tutti i volontari sono stati sottoposti a elettroencefalogrammi durante i giochi economici. In linea con l’ipotesi iniziale, gli individui affaticati hanno mostrato la comparsa di aree con onde tipiche del sonno in alcune zone della corteccia prefrontale, completamente assenti negli altri. «Il nostro studio segnala come l’affaticamento mentale abbia un effetto misurabile sul comportamento e che, quando si raggiunge un certo grado di stanchezza, le persone sono più inclini a comportamenti ostili – spiega Ordali -. In condizioni di riposo carente può succedere che il cervello ‘mandi a dormire’ un’area, sviluppando le onde lente tipiche di una condizione di sonno. Di fatto è come se quella parte non funzionasse per alcuni minuti o non lo facesse in modo ottimale».

Questo significa che è importante evitare che le persone accumulino eccessiva fatica mentale, sul posto di lavoro o in famiglia, al fine di ridurre i conflitti e aggressioni, come nota Ennio Bilancini, economista comportamentale alla Scuola IMT, coinvolto nello studio.

«Le implicazioni generali di questi risultati sono immediatamente apprezzabili nella vita di tutti i giorni. Basti pensare alle trattative di mediazione, agli accordi economici, ai comportamenti giuridicamente rilevanti, ai reati di impulso, e così via. Quando siamo stanchi, è molto più difficile e assai meno probabile che prendiamo la decisione migliore, andando contro anche al nostro stesso interesse – riflette Pietro Pietrini, coautore della ricerca e direttore del Molecular Mind Lab della Scuola IMT -. Questi dati estendono i nostri precedenti risultati sul discontrollo degli impulsi dopo deprivazione di sonno. In un periodo in cui è evidente a livello internazionale che troppo spesso vengono fatte scelte controproducenti per tutti, la scienza ci offre una prospettiva per comprendere i meccanismi cerebrali che ci guidano in condizioni ambientali specifiche».

Non si può escludere che in futuro saremo in grado di quantificare oggettivamente, grazie a un apparecchio per l’EEG portatile, il nostro grado di stanchezza mentale, per stabilire quando è il momento giusto di prendere le decisioni più importanti o di impegnarci in discussioni delicate. O, comunque, per sapere che non possiamo contare sule nostre capacità ottimali e siamo a rischio di reazioni aggressive.