Una vicenda "dai profili giudiziari
inquietanti". Così il ministro della Salute
Beatrice Lorenzin,
definisce la vicenda del metodo Stamina, mentre la commissione
Sanità del Senato annuncia oggi l'avvio di
un'indagine
conoscitiva in merito. Una storia dai molti interrogativi,
quella legata al presidente di Stamina Foundation
Davide
Vannoni, sulla quale sono giunte nuove rivelazioni: non ci
sarebbero cellule staminali nelle infusioni effettuate ai
pazienti secondo il metodo Stamina, come invece sostenuto
dall'ideatore del protocollo.Virus dell'Aids, delle
epatiti B e C, virus oncogeni, batterio della sifilide. Sono alcuni
dei possibili rischi infettivi che non si possono escludere per i
pazienti che ricevono le iniezioni preparate con il metodo Stamina,
secondo quanto
il primo comitato di esperti chiamato a esprimersi sul
protocollo ha relazionato al
ministero della Salute. Un parere poi
giudicato non imparziale dal
Tar del Lazio, nell'ordinanza con cui ha
sospeso l'effetto delle conclusioni degli scienziati.Nei documenti presentati da Stamina Foundation gli scienziati denunciano l'assenza di
informazioni che escludano anche contaminazioni a rischio di Bse.
"Il protocollo - si legge nelle carte pubblicate dal quotidiano
La Stampa e in possesso dell'agenzia AdnKronos - prevede l'utilizzo sia di cellule dello stesso paziente
(autologhe) che di cellule da donatore (allogeniche). Manca tuttavia
l'indicazione di un piano di identificazione, screening e testing di
donatori allogenici. Questo esclude, tra l'altro, la verifica del
rischio di malattie e agenti trasmissibili (Hiv-1, Hiv-2, Hbv, Hcv,
treponema pallidum, Htlv-1, Htlv-2, Cmv, Cid). In assenza di tali
controlli,
l'impiego di cellule da donatore potrebbe rappresentare un
rischio per i pazienti".Inoltre, continuano gli esperti "il fatto che
il protocollo preveda somministrazioni ripetute (5 cicli costituiti
ciascuno da un'infusione endovenosa più una intrarachidea) potrebbe
aumentare il
rischio di fenomeni di sensibilizzazione con complicanze
anche gravi (ad esempio encefalomielite)".
E ancora: "Data la natura del materiale di partenza (carota
ossea) (...) questo tipo di preparazione comporta il
rischio di
iniezione di materiale di origine ossea al livello del sistema
nervoso". In sostanza - riassumono gli esperti - in aggiunta ai rischi
legati alla possibile contaminazione delle cellule e alla possibile
iniezione intrarachidea di materiale osseo, non essendo possibile
comprendere le caratteristiche e quindi le potenzialità fisiologiche
della popolazione cellulare ottenuta,
risulta impossibile stabilirne
il profilo di sicurezza".Quanto al
rischio Bse, si legge ancora nei
documenti del comitato al ministero: "Le autorità regolatorie
europee, in una linea guida, richiedono che il siero fetale bovino sia
sostituito con reagenti di natura vegetale o sintetica. Tuttavia,
viene riconosciuto che tale sostituzione non deve avvenire a scapito
della qualità del medicinale stesso. Nel caso in oggetto, risulta
impossibile stabilire se tale alternativa esiste. Per ridurre i
rischi
di natura infettiva legati all'uso di reagenti di origine animale, è
richiesto che il siero fetale bovino provenga da animali allevati e
sacrificati in Paesi privi di Bse mediante certificazione rilasciata
dall'European Department for Quality of Medicines e il lotto in uso
non contenga contaminazioni batteriche, da micoplasma o di natura
virale. Nessuna di queste informazioni è presente nei documenti
pervenuti".
In conclusione, "manca una definizione biologica del prodotto -
osservano gli esperti - Le cellule da iniettare non sono identificate
in maniera corretta e non viene presentato alcun saggio funzionale che
ne dimostri le proprietà biologiche. Manca un'adeguata
caratterizzazione e i pochi controlli di qualità effettuati sul
prodotto non permettono di determinare le caratteristiche della
popolazione cellulare. Ciò rappresenta un problema non solo in
termini di efficacia, in quanto se la preparazione non è ben
identificata il metodo non è riproducibile e quindi la potenziale
efficacia può essere vanificata, ma anche in termini di sicurezza".
In definitiva, il comitato stabilisce "la mancanza di fatto di
un 'metodo Stamina', in quanto
la metodica non presenta
caratteristiche di originalità".