«Stamina, rischi gravissimi»
Adesso ci sono anche le carte. O meglio, si possono leggere, visto che sui rischi del metodo Stamina, sui cortocircuiti di un protocollo a dir poco fantasma, sulla bieca manipolazione dei malati e delle loro famiglie, già era stato detto tutto. Ma non bastava. E allora via con gli attacchi di piazza, le sentenze di parte, gli accordi coi singoli ospedali e addirittura con qualche giunta regionale.
Tutto per mettere la scienza nell’angolo e far trionfare l’illusione di una cura per malattie che cura – ancora – non hanno.Fino a ieri, quando la scienza la sua rivincita se l’è presa a suon di dati e certezze. Sono quelle del Comitato di esperti chiamato a esprimersi sul protocollo dal ministero (per intendersi, il gruppo di luminari tacciato dal Tar del Lazio di «pregiudizi» e «parzialità»), confermate dai verbali dei Nas in mano alla Procura di Torino. Il loro parere, e le ragioni del loro no a Stamina, non erano stati resi pubblici prima. «Troppo scomoda, la verità», ha detto più d’una volta il padre del metodo, Davide Vannoni. E la verità – davvero scomodissima – è che tutto c’è, dentro Stamina, meno che le cellule staminali. In termini scientifici: «Non esiste nel protocollo fornito nessuna caratterizzazione funzionale, ancorché minima, delle cellule ottenute – spiegano gli esperti nel loro parere –. Non è usato nessun saggio in vitro o in vivo che dimostri o predica una qualunque proprietà funzionale delle popolazioni cellulari ottenute, comprese staminalità, clonogenicità, multipotenza, proprietà immuno-modulatorie, capacità differanziativa, o qualunque altra proprietà nota delle cellule staminali mesenchimali». Insomma, di staminali nemmeno l’ombra.Cosa c’è, allora, nelle infusioni somministrate ai pazienti di Vannoni? Qui inizia il dramma. Che si chiama «mancanza di un piano di identificazione, screening e testing dei donatori di cellule». Ovvero, mancanza di verifica del rischio di malattie e agenti trasmissibili quali Aids, epatiti B e C, virus oncogeni, persino il batterio della sifilide. Come dire: ai pazienti, insieme a un non meglio specificato materiale cellulare, potrebbero essere somministrate anche queste malattie. Di più: visto che il materiale cellulare in questione sarebbe stato mescolato anche con del siero fetale bovino (vietatissimo dalle autorità regolatorie europee), alla lista choc di possibili contagi va aggiunto anche quello della Bse, meglio nota come sindrome della mucca pazza.
Il tutto a carico degli ignari pazienti. Gli stessi poi chiamati a raccolta per riempire piazza Montecitorio e gridare «assassini» a ministro e collaboratori. Per Vannoni evidentemente poco contava se ai poveretti il protocollo – che prevede somministrazioni ripetute (5 cicli costituiti ciascuno da un’infusione endovenosa più una intrarachidea) – causava complicanze anche gravi, «come fenomeni di sensibilizzazione e addirittura encefalomieliti», scrivono gli esperti. È quello che è successo a una bambina di Torino, nel 2009. Il suo nome è su tavolo della Procura di Torino, tra gli atti dell’inchiesta su Stamina: a sua mamma Vannoni e co. hanno chiesto 36mila euro per la “cura”. Peccato che la piccola abbia iniziato a vomitare subito dopo la prima infusione, fatta in un ospedale di Trieste. Una corsa in ospedale, tanta paura, poi la decisione di rinunciare all’illusione e di denunciare. Fosse finita in tv, quella bambina, come la piccola Noemi, che è diventata il simbolo della battaglia per la vita dei malati ma anche la bandiera dietro cui nascondere la vacuità di Stamina.
Ora sul metodo sarà chiamato a pronunciarsi un altro gruppo di esperti. «Bisogna dare una risposta definitiva su questa vicenda, che ha ormai assunto dei profili giudiziari inquietanti», ha ribadito ieri il ministro della Salute Beatrice Lorenzin, mentre il Senato dava il via libera alla sua indagine conoscitiva. Nemmeno le carte bastano ancora.