Attualità

L'affondo. Squinzi pensa alla Svizzera

Diego Motta sabato 22 marzo 2014
«Anche oggi mi hanno offerto il Canton Ticino per il nuovo head quarter aziendale: se le lungaggini burocratiche mi fanno aspettare 4-5 anni, ci penso». Messa così, la battuta dal sen fuggita a Giorgio Squinzi, leader degli industriali, sembra una vera e propria provocazione. Tanto più che il numero uno di Confindustria, davanti al governatore Roberto Maroni che gli chiedeva sorridendo di evitare un’ipotesi del genere per la sua Mapei, ha ribadito: «No, no, ci penso...».Un segnale di insofferenza forte, fortissimo nei confronti del sistema Italia che pure Squinzi rappresenta, non solo nel nostro Paese. A quanto pare, poi, le parole di elogio nei confronti della Regione Lombardia non sono mancate. «Sono fiero di essere lombardo, siamo la prima regione manifatturiera in Italia – ha affermato Squinzi –. Io credo che voi vi siate mossi bene in questo primo anno e penso che continuerete a farlo».L’occasione è arrivata nel corso di un lungo confronto con diversi rappresentanti delle associazioni di categoria, della società civile e dei sindacati, concluso con l’esortazione rivolta all’amministrazione regionale a migliorare alcuni settori ritenuti strategici per lo sviluppo, come gli investimenti pubblici nella ricerca e nel digitale, la semplificazione nel rilascio di permessi e l’accelerazione nelle concessioni. «Nelle tante società partecipate, bisogna focalizzarsi su un lavoro specifico sia per il reale interesse pubblico che per l’efficienza delle società stesse».La necessità di alleggerire le strutture burocratiche, facendo pulizia nel mondo complicato delle ex municipalizzate, è da qualche tempo una priorità per Confindustria, che ha fatto della semplificazione uno dei suoi cavalli di battaglia, anche nei confronti del sistema politico. Nessuna diplomazia, dunque, soprattutto se ciò dovesse servire a realizzare quella "rottura" con il passato che le imprese italiane si augurano avvenga al più presto. In questo senso, la luna di miele col presidente del Consiglio Matteo Renzi, se mai c’è stata, sembra già finita. Incassato positivamente il Jobs Act, che dovrebbe regalare più flessibilità in futuro ai datori di lavoro, Squinzi ha attaccato sul resto. «Adesso vanno molto di moda le slide: a me piacciono quelle che raccontano cose già fatte, non quelle che devono ancora essere fatte» ha detto ad esempio, evocando lo show del premier, avvenuto solo una settimana fa a Palazzo Chigi. Ancor più duro, se possibile, l’affondo sull’ultima trasferta di Berlino del governo italiano. «Devo sfatare» il clima idilliaco descritto per l’incontro di lunedì tra Merkel e Renzi. «Io ero alla cena e lei è stata molto austera nei nostri confronti: non è che ci abbia accolto a baci e abbracci, ha detto che non possiamo derogare dalle regole». Tanto più che «il vincolo del 3% tra deficit e Pil c’è e rimarrà».