Quasi un terzo dei finanziamenti per gli ospedali pubblici, il 29%, non viene speso come dovrebbe per curare i pazienti ma si perde in mille rivoli. Uno spreco da 13 miliardi di euro l’anno. È la «quota di inefficienza» delle aziende ospedaliere, quella cioè che risulta sottraendo, dai fondi stanziati per la gestione ordinaria, il valore delle prestazioni erogate. Una diagnosi sconfortante che emerge dal Rapporto Ospedali & salute 2011 realizzato su dati del 2009 da Ermeneia per conto dell’Aiop, l’associazione italiana ospedalità privata. Un "pubblico non-statale" che rappresenta un pezzo importante del pianeta salute, visto che le case di cura accreditate forniscono il 21% dei posti letto.Le risorse impiegate dagli ospedali delle 15 regioni a statuto ordinario eccedono del 27,9% il fabbisogno. Peggio le regioni a statuto speciale: 36,1%. In media, appunto, il 29%. Il dato regionale rivela grandi differenze. Al Nord (21,8% la quota media di inefficienza) la regione più virtuosa fino allo scorso anno, la Lombardia (che passa dal 16,9 al 19,3%), cede il posto al Veneto (dal 18,1 al 17,2%). Al Centro (32,8%) è il Lazio col suo 41,3% ad alzare la media rispetto al 25% circa delle altre regioni, con 1.900 milioni di euro sprecati. Lazio comunque in lieve miglioramento: era al 43%. Grave la situazione al Sud: la Campania è al 41,7% (era al 42,4), la Calabria ha la maglia nera col 46,4%. Non vanno molto bene nemmeno le regioni a statuto speciale e le province autonome: Sicilia 37,8%, e Sardegna 41,8, ma anche Valle d’Aosta 35,9, Trento 32,2 e Bolzano 35,2. Meglio il Friuli Venezia Giulia (24,8).«L’intento dell’indagine sulle inefficienze – sottolinea il presidente di Ermeneia, Nadio Delai – non è puntare il dito contro gli amministratori degli ospedali pubblici, quanto fare un’operazione di servizio. Abbiamo infatti applicato "correttivi" significativi verso l’alto proprio per tener conto delle ampie funzioni svolte dagli ospedali pubblici». Enzo Paolini, presidente Aiop, si chiede «se i tagli lineari siano davvero l’unica strada o invece bisogna percorrere una vera riforma strutturale che garantisca un sistema sanitario universalistico che tenga ferma la centralità della persona e abbia al suo interno meccanismi di ottimizzazione». Come? Innanzitutto, dice Paolini, «superando il conflitto che vede lo Stato essere regolatore, operatore e controllore delle strutture proprie e altrui». Poi «dando trasparenza ai bilanci pubblici e revisionando anche i sistemi di finanziamento e accreditamento». La percentuale della spesa per l’ospedalità pubblica, sul totale della spesa sanitaria, continua a crescere: nel 2004 era il 42,8%, cinque anni dopo il 46,8. Stabile, anzi in flessione, la spesa per l’ospedalità privata accreditata, passata negli stessi anni dal 4,1% al 4.L’analisi non piace alla Federazione italiana delle aziende sanitarie e ospedaliere. «È quantomeno inelegante – dice il presidente Giovanni Monchiero – che l’Aiop si dedichi a ricerche sugli ospedali pubblici, che non sprecano denaro ma impegnano risorse per garantire anche le cure più costose a quei pazienti che solitamente le strutture private non prendono nemmeno in carico». Gli ospedali pubblici, «devono garantire assistenza a tutti, anche a chi soffre di patologie gravi e costose, anche 24 ore su 24, con servizi altamente qualificati e costosi come le rianimazioni e i pronto soccorsi. Ciò non significa negare la presenza di sacche di inefficienza».