Migranti. Sprar, la buona accoglienza dà futuro a 35mila persone
Mediatori al lavoro nella rete di accoglienza del sistema Sprar
Il 70% degli immigrati usciti dallo Sprar nel 2017 (oltre 9mila) ha terminato il percorso di accoglienza avendo acquisito gli strumenti per una propria autonomia: 25.480 hanno frequentato almeno un corso di lingua, 15.976 un corso di formazione professionale e svolto un tirocinio formativo, 4.265 hanno trovato un’occupazione lavorativa. Mentre tutti i minori ospiti nei centri dello Sprar hanno frequentato la scuola. Numeri molto positivi.
«Un modello che funziona ma che ora col decreto sicurezza rischia di non esistere più». Lo denuncia Matteo Biffoni, sindaco di Prato e delegato dell’Anci per l’immigrazione in occasione della presentazione dell’'Atlante Sprar 2017'. Ad oggi la rete di accoglienza del Sistema di protezione per i richiedenti asilo riguarda 877 progetti territoriali di accoglienza, coinvolge 1.825 comuni interessati come titolari di servizi, sedi di strutture o partner e contempla 35.881 posti di accoglienza, di cui 3.500 per minori stranieri non accompagnati e 734 per persone con disagio mentale o disabilità, i cosiddetti vulnerabili.
Numeri in crescita: nel 2012 erano 7.823, lo scorso anno sono stati 36.995 (+372,9%), con 2.117 nuclei familiari, 4.584 minori dei quali 3.127 non accompagnati, 7.800 vittime di tortura e di violenze, vittime di tratta, donne sole in stato di gravidanza, persone con problemi sanitari. Un sistema che funziona, piccoli centri, «in accoglienza diffusa, in media 8 persone, una scelta che, diversamente dai grandi centri, previene il rischio di tensioni con le popolazioni locali», ha sottolineato Daniela Di Capua, direttrice del Sistema centrale dello Sprar, aggiungendo che «il percorso che avevamo intrapreso andava verso la progressiva eliminazione dei Cas o la loro trasformazione in Sprar».
Invece il decreto 113, voluto dal ministro Salvini, va in senso opposto. «C’è lo smantellamento degli Sprar a carico dei servizi sociali del territorio con una netta indicazione che riporta la storia a molti anni fa, cioè i grandi centri gestiti dalla prefetture, col rischio di tensioni», denuncia ancora Biffoni. «A pagare – aggiunge – non sarà chi ha preso questa decisione ma i sindaci. Lo dicono tutti, trasversalmente, grandi e piccoli. Qualcuno aveva annunciato che le espulsioni sarebbero aumentate. Invece ci saranno 100mila persone per strada. È tutta gente che non scompare. Se va bene lavoreranno in nero o, peggio, finiranno a fare da manovalanza della criminalità».
Eppure la strada imboccata era molto diversa. Frutto anche di una forte collaborazione tra istituzioni. Lo ha sottolineato Tatiana Esposito, Direttore generale immigrazione del Ministero del Lavoro. «Assieme allo Sprar abbiamo realizzato un progetto per 750 persone di inserimento nel mondo del lavoro. Dopo nove mesi dalla fine del percorso formativo il 40% ha un contratto lavorativo regolare. Così ora stiamo facendo un analogo progetto per i minori tra 16 e 18 anni. Ma vorremmo metterli a sistema». Sarà possibile ora col drastico ridimensionamento degli Sprar? Col rischio, ricorda la Di Capua, di perdere «la professionalità, la preparazione, l’esperienza dei più di 10mila operatori del Sistema».
Insomma, taglia corto Biffoni, «non si capisce la ratio di questa scelta insensata. Non c’è un problema di numeri, visto che gli sbarchi si sono drasticamente ridotti, e neanche i costi. Mentre tutti dicono che lo Sprar funziona. È un decreto veramente sbagliato. Noi non ci stiamo. Non ci sobbarcheremo le responsabilità per scelte che non condividiamo. Siamo stati convocati a scelte già prese. Speriamo ancora in un guizzo del Parlamento. Noi siamo pronti a collaborare».