Migranti. «Sparizioni e detenzioni illegali», dall’Onu nuove accuse alla Libia
Un centro di detenzione a Tripoli, in Libia: per l’Onu migliaia di migranti sono vittime di violenza e soprusi da parte delle mafie che gestiscono i traffici di esseri umani
La mafia dei trafficanti di uomini in Libia ha nomi noti. Molti abitano nei palazzi del potere e sono direttamente coinvolti nel business delle vite umane, associato allo smercio illegale di armi, idrocarburi e droga. Sono loro i datori di lavoro degli “scafisti” ed è a costoro che il segretario generale dell’Onu rivolge i riflettori nel suo ultimo rapporto.
La missione Onu «ha continuato a ricevere segnalazioni di sparizioni forzate e detenzioni arbitrarie prolungate di libici e non libici nelle carceri e nei centri di detenzione in tutto il Paese» premette Guterres rivolgendosi al Consiglio di sicurezza. Le informazioni e i riscontri arrivano direttamente dalla missione delle Nazioni Unite in Libia (Unsmil), che «ha continuato a ricevere segnalazioni consistenti di uomini e donne detenuti in tutte le parti della Libia sottoposti a maltrattamenti, violenze sessuali, torture o pratiche sessuali coercitive in cambio di acqua, cibo o beni di prima necessità». Succede nei campi di prigionia statale, dove non solo le donne vengono abusate, spesso per riceverne in cambio un pezzo di pane e poter guadagnare la speranza di un altro giorno di vita senza i morsi della fame. Un orrore tollerato dai partner internazionali della Libia, tra cui Italia, Malta, Uniobne Europea, Turchia. Un inferno che non risparmia neanche i più piccoli.
La missione Unsmil «ha osservato un preoccupante aumento della detenzione di bambini migranti - si legge -, in violazione degli obblighi del Paese in materia di diritti umani internazionali». Molti dei baby prigionieri «sono stati anche vittime di traffico e abusi» sottolinea Guterres che cita «24 casi verificati di bambini rapiti dal Sudan, dove erano stati registrati come richiedenti asilo e successivamente trafficati in Libia». Il monitoraggio degli operatori Onu in Libia ha accertato che «questi bambini sono stati sottoposti a ulteriori violazioni dei diritti umani in Libia, tra cui il lavoro forzato in strutture militari senza alcun compenso». E non è che il crimine minore: «Al 5 marzo, 60 bambini migranti e rifugiati non accompagnati erano detenuti arbitrariamente nel centro di detenzione di Shari' al-Zawiya, senza alcuna prospettiva di rilascio». E dove quello che accade è un tabù precluso alle agenzie umanitarie internazionali.
Che i fondi di Italia e Ue per la Libia non finiscano per potenziare i diritti umani, lo dimostra un episodio tra i molti citati nella relazione inviata al Palazzo di Vetro dell’Onu. «Il 31 dicembre, il Dipartimento per la lotta alla migrazione illegale di Kufrah (nel Sud della Libia, ndr) ha espulso più di 400 migranti e richiedenti asilo, tra cui donne e bambini, principalmente provenienti dal Ciad e dal Sudan, la maggior parte dei quali espulsi verso il Sudan». Che non si trattasse di trasferimenti legali lo prova una decisione di Tripoli.
«Alle organizzazioni internazionali non è stato concesso l'accesso alla struttura. Prima dell'espulsione, i detenuti sarebbero stati sottoposti a traffico di esseri umani, torture, violenze sessuali e di genere, estorsioni e avrebbero sofferto di gravi malattie a causa del mancato accesso alle cure mediche di base. La loro espulsione collettiva - ricorda il segretario generale - viola gli obblighi del Paese ai sensi del diritto internazionale, compreso il principio di non respingimento».
Le Nazioni Unite «hanno continuato a ricevere segnalazioni di centinaia di altri migranti e rifugiati detenuti e sottoposti a violazioni dei diritti umani in strutture gestite da gruppi armati» ribadisce Guterres che segnala anche il caso di 6 cristiani copti egiziani liberati dopo essere stati rapiti il 4 febbraio a Zawiyah, dove imperversano le milizie affiliate al clan al-Nasr, il cui personaggio più conosciuto è il comandante della guardia Costiera Abdurahman al-Milad, noto come “Bija”. Il gruppo di cristiani egiziano era stato confinato proprio nel campo di prigionia ufficiale governato dagli uomini del clan.
La connessione tra guardacoste e trafficanti è un dato di fatto su cui lavora da tempo anche la Corte penale internazionale.
All’1 marzo erano già 3.046 le persone, tra cui donne e bambini, intercettate e riportate in Libia. «La maggior parte dei migranti - ribadisce Guterres - è stata successivamente trasferita in centri di detenzione, ai quali le agenzie Onu non hanno accesso regolare». E cosa ci sia da nascondere all’Onu lo sanno tutti.