Malattia mentale. Troppo spesso equivale al baratro dell’angoscia. O almeno a un’incertezza tanto pesante da trasformarsi per il malato e per la sua famiglia in un calvario di accertamenti, di visite, di ricoveri, di terapie dall’esito tutt’altro che decisivo. Quando poi il problema esplode in tutta la sua drammatica evidenza e i servizi sanitari troppo spesso denunciano la loro storica latitanza nel prendersi in carico la sofferenza del malato, sulle spalle della famiglie grava improvvisamente un peso ingiusto e insopportabile. I troppi episodi di cronaca che da anni si rincorrono da Nord a Sud e che hanno per protagonista un malato di mente sono la triste dimostrazione di un percorso incompiuto. Qualcuno ha paragonato la legge 180 del 1978, la legge Basaglia, a un edificio concettualmente avveniristico, con spunti di profezia e di originalità, lasciato però senza porte e senza finestre. Basta un temporale per allagare le stanze e rendere la casa inutilizzabile. È quello che è successo nell’applicazione di questa norma a cui, tranne che in poche aree del Paese, è venuta a mancare quella rete di servizi diffusi sul territorio, in grado di porsi come corpo intermedio tra i reparti ospedalieri e le famiglie dei malati. Adesso, a tentare di colmare questa lacuna, arriva una proposta di legge. Parte da un principio semplice che nessuno però aveva ancora codificato in un istituto giuridico: la corresponsabilità della società civile e delle istituzioni con l’ammalato psichiatrico e con la sua famiglia. A proporla un pool di realtà culturali e sanitarie e di associazioni che hanno come capofila l’Istituto di antropologia per la cultura della famiglia e della persona (Università Cattolica, Confederazione dei consultori di ispirazione cristiana, Ospedale Maggiore di Milano) e la Federavo (Associazione dei fondatori per una nuova cultura del volontariato). «Il senso profondo di questa norma che ieri a Milano abbiamo illustrato per la prima volta – spiega l’avvocato Goffredo Grassani, presidente dell’Istituto di antropologia – è quello di coniugare i principi di solidarietà con quelli di sussidiarietà, per trasformare chiunque lo desideri in "imprenditore del bene comune"». Un punto di partenza nobile che però rischiava di essere soltanto una bella dichiarazione di intenti. Invece gli estensori della legge, che si configura come un’autentica proposta di riforma della psichiatria in Italia, hanno messo a punto un percorso destinato a introdurre una visione innovativa: «Sotto il profilo giuridico questi principi – riprende Grassani – potrebbero trovare attuazione in nuovi contratti che aprano opportunità di donazione di servizi assistenziali e di accompagnamento». Ecco allora che la proposta sintetizza queste potenzialità di intervento a sostegno del malato psichiatrico e della sua famiglia in un unico nuovo istituto contrattuale denominato "Adozione sociale". Si tratta in pratica di regolamentare e di assicurare benefici fiscali a chiunque produca un reddito e decida di destinarlo, anche in piccola parte, alla comunità dei malati. Concretamente si potranno donare servizi assistenziali e di accompagnamento. E cioè servizi medici, educativi, psicologici, giuridici, scolastici. E ancora, donazioni di tempo e di relazioni. Ma anche donazioni di sostegno economico ai servizi diretti di cui il malato ha bisogno. «Si tratta di una proposta di legge che parte dal basso – osserva ancora l’esperto – e che punta a valorizzare le risorse già esistenti nella società. Sarebbe impensabile, in una contingenza economica come quella in cui ci troviamo, pretendere un intervento oneroso da parte delle strutture pubbliche. Sappiamo che la maggior parte delle Asl si trovano a fare i conti con deficit cronici di bilancio». Da qui una serie di interventi "leggeri", finalizzati da un lato a non gravare sui bilanci pubblici, dall’altro a rendere più semplice e agile l’accesso a servizi da parte delle famiglie dei malati. Oggi, in troppi casi, i servizi di diagnosi e cura negli ospedali non sono in grado di fornire programmi terapeutico-riabilitativi territoriali realmente efficaci. I progetti di assistenza rimangono così sulle spalle delle famiglie e questo innesca un doppio rischio: da una parte quello di un intervento terapeutico inefficace, dall’altro l’insorgere di pregiudizi legati alla malattia mentale e alla sua "pericolosità sociale" con conseguente richiesta di interventi coercitivi. Ma il mondo della psichiatria su questo almeno sembra d’accordo. Nessun programma terapeutico può essere impostato sulla violenza e sulla mancanza di collaborazione attiva da parte del malato. Ecco perché il progetto di legge si propone di eliminare alcuni limiti temporali non razionali per l’erogazione delle cure agli ammalati psichiatrici. «Dobbiamo anche valorizzare l’esistente. Ci sono in Italia comunità protette e di centri di accoglienza che – mette in luce l’avvocato Grassani – potrebbero rivelarsi preziosi per la tutela e l’assistenza dei malati. Si tratta di realtà da rilanciare perché potrebbero essere utilizzate proprio per porre riparo a uno degli aspetti più drammatici del problema: l’abbandono del malato cronico».