La visita del premier. Draghi spinge la nuova Libia. Ma ignora il dramma profughi
I due primi ministri, Mario Draghi e Abdul Hamid Dbeibah, passano in rassegna il drappello d’onore.
Il problema «non è solo geopolitico, ma anche umanitario». Non sono bastate queste parole per risparmiare al presidente Mario Draghi le critiche delle organizzazioni umanitarie e di molti esponenti politici che dal premier si attendevano qualche parola in più a proposito delle violazioni dei diritti umani nei campi di prigionia libici.
«Un salvataggio in mare si conclude solo all’arrivo in un porto sicuro. Se migranti e rifugiati vengono riportati in Libia - ricorda Medici senza frontiere - si tratta di una condanna alla violenza e alla brutalità nei centri di detenzione. C’è poco da essere soddisfatti». Poco prima il premier italiano aveva infatti ringraziato la guardia costiera libica (entità che in realtà è composta da differenti e autonome polizie marittime) e aveva espresso «soddisfazione per quello che la Libia fa nei salvataggi», aggiungendo che «nello stesso tempo aiutiamo e assistiamo la Libia».
Non lontano dai luoghi che hanno ospitato il vertice si trovano alcuni dei luoghi di detenzione nei quali secondo le Nazioni Unite avvengono «orrori indicibili». E questo ha provocato una raffica di reazioni, culminate nelle parole di Enrico Letta: «Bisogna dire che il salvataggio in mare è un dovere del nostro Paese – ha detto il segretario del Pd –. Diversa è la questione migranti» dove, ha aggiunto, « c’è bisogno di un cambio radicale della politica Ue». Anche Pietro Bartolo, europarlamentare del Pd, si è chiesto «cosa fa la Libia per i salvataggi? A noi risulta – ha detto – che quando opera, e spesso supportata dalla logistica dell’europea Frontex, la Libia riprenda i migranti in fuga e li riporti in veri e propri lager ». Un rimprovero che arriva anche da Demos: «Capisco la 'Realpolitik', ma ringraziare la Libia per ciò che fa verso i migranti vuol dire non tener conto della realtà del traffico di esseri umani, dei lager di detenzione, delle violenze quotidiane per migliaia di persone a cominciare dalle donne», reagisce il segretario Paolo Ciani.
Pochi giorni fa l’inviato Onu a Tripoli, lo slovacco Jan Kubiš, ha riferito al Consiglio di sicurezza che «attualmente circa 3.858 migranti sono detenuti in centri di detenzione ufficiali in condizioni estreme, senza un giusto processo e con restrizioni all’accesso umanitario». La missione delle Nazioni Unite si è detta «preoccupata per le gravi violazioni dei diritti umani contro migranti e richiedenti asilo da parte del personale del Dipartimento per la lotta alla migrazione illegale e dei gruppi armati coinvolti nella tratta di esseri umani». Per Luciano Scalettari, presidente di Resq, «non si possono ringraziare le autorità libiche. Andrebbero ringraziate le Ong e associazioni umanitarie che davvero salvano le persone naufraghe e le portano in un luogo sicuro». Evidentemente «gli sfugge la differenza tra salvataggio e cattura», afferma il segretario nazionale di Si, Nicola Fratoianni.
Più volte papa Francesco ha parlato dei campi di detenzione libici come campi di concentramento. Perciò saranno decisive le prossime mosse del governo italiano. A fronte dei rari «corridoi umanitari», molti osservatori invocano un deciso cambio di rotta, specie nella gestione dei centri di detenzione. «Dal capo di un Paese europeo in visita in Libia – ha detto Erasmo Palazzotto, parlamentare di Leu che ha votato la fiducia a Draghi – mi aspetterei parole di dura condanna sulla condizione di detenzione e sulla negazione dei diritti umani in Libia certificata dall’Onu».