Attualità

L'analisi. Soccorsi e trasferimenti, quei silenzi sui migranti del mare

Antonio Maria Mira lunedì 8 luglio 2024

L'arrivo dei migranti a bordo della Humanity 1 nel porto di Catania il 30 giugno scorso

Collaborazione e ragionevolezza. Crudeltà e punizione. Non abbiamo fatto in tempo a rallegrarci per l’anomalo, ma positivo, soccorso di domenica 30 giugno, che è arrivata l’ennesima assurda vicenda del mercoledì successivo. E quella incomprensibile di venerdì e sabato. Stesso mare, stessi protagonisti, naufraghi e soccorritori, ma esiti diversi. Inspiegabilmente diversi. Inspiegabili anche perché sui soccorsi in mare è calato un silenzio ufficiale, quasi da operazioni “top secret”, mentre si tratta di salvataggio di uomini, donne e bambini. Domenica una bella storia di collaborazione e di ragionevolezza. La Humanity 1 avverte di un peschereccio in difficoltà. Viene dalla Cirenaica, ha quasi 200 persone a bordo, Malta non risponde. Roma sì e chiede alla Ong di intervenire. Arrivano anche due motovedette della Guardia costiera. Soccorrono i profughi ma poi, sorpresa, chiedono alla Humanity 1 di caricarli. Avviene il trasbordo e, altra sorpresa, alla nave viene indicato come porto sicuro di sbarco quello di Catania. Giusto e umano. È il più vicino, è così deve essere per persone che sono già in mare da 5 giorni. Dovrebbe essere sempre così, mentre da un anno, dal “decreto Cutro”, nome drammaticamente sbagliato, vengono mandati in porti lontani anche 2-3 giorni viaggio. Dunque una bella notizia. Un cambio di linea? Purtroppo no. Mercoledì un’altra imbarcazione di una Ong, la Louise Michel, soccorre 36 migranti in acque internazionali. È a poche miglia da Lampedusa, ma viene indicato come porto di sbarco quello di Pozzallo. La Louise Michel è molto più piccola della Humanity 1, ma inspiegabilmente le si impone una rotta più lunga. Malgrado condizioni meteomarine avverse. Sarebbe una nuova sofferenza per i 36 migranti tra i quali 17 minori non accompagnati. Davvero inspiegabile e crudele. Così il comandante, ragionevolmente e umanamente, decide di sbarcare nella più vicina Lampedusa. Il risultato positivo è aver evitato inutili sofferenze, quello negativo è la sanzione di 20 giorni di fermo amministrativo, 20 giorni in cui la Louise Michel non potrà soccorrere e salvare nessuno. Punita per troppa umanità, da una norma disumana. Ma dopo due giorni cambia la musica anche per la Humanity 1 che venerdì soccorre prima un gommone con 111 persone a bordo, poi un secondo con 102 e infine un terzo con 78. L’Ong dice di averlo fatto col coordinamento delle autorità italiane, ma questa volta il porto sicuro assegnato è Bari, 1.100 chilometri di distanza, 4 giorni di navigazione. Ma la mattina di sabato arriva la sorpresa: i 111 del primo soccorso vengono trasbordati su una motovedetta della Guardia costiera e sbarcati a Lampedusa. Solo loro, per gli altri è confermato Bari. Possiamo solo immaginare il loro drammatico stupore davanti a una decisione così assurda e crudele. E tra loro decine di bambini, anche molto piccoli. Il tutto nel silenzio ufficiale. Nessuna nota che spieghi quanto accaduto domenica, nessuna nota che spieghi e giustifichi quanto accaduto mercoledì e poi venerdì e sabato. Quella del silenzio su quanto accade in mare sembra essere diventata la regola. Anche sulla strage dello scorso 17 giugno al largo delle coste calabresi. Dopo i comunicati coi primi ritrovamenti dei corpi dei circa 70 dispersi, non si è saputo più nulla. Solo grazie al giornalista Sergio Scandura di Radio Radicale, si è riusciti a conoscere alcuni comunicati interni della Guardia costiera. Sappiamo così che, fino ad ora, i corpi ritrovati sono 41. Scandura ha fatto bene il nostro mestiere, quello di informare. Lo facciamo anche noi, grazie al mondo del volontariato che in questi giorni sta accompagnando e sostenendo i familiari delle vittime e degli scomparsi. Così possiamo raccontarvi che dei 41 corpi ben 22 sono attualmente nel porto di Gioia Tauro, dove ai giornalisti è vietato avvicinarsi, e altri 8 nell’obitorio di Polistena, entrambi sul Tirreno, dalla parte opposto dell’area dello Jonio dove è avvenuto il naufragio. Solo 10, oltre a quello della donna morta dopo il salvataggio, si trovano in questa area, esattamente nell’obitorio di Locri. Mentre il corpo di un ragazzo afghano di 28 anni è partito, accompagnato dal fratello, dopo il riconoscimento. Ma perché sparpagliarli in questo modo, obbligando i familiari a un doloroso peregrinare da un posto all’altro? Si vuole evitare l’effetto Cutro, quelle 94 bare allineate, decine bianche? Per ora il risultato è quello che del naufragio non si parla più. Né delle eventuali responsabilità, né delle storie dei morti, né dei loro familiari. Tutto scomparso, doppiamente dispersi. Meglio non parlare degli sbarchi, di quelli finiti male, di quelli finiti bene. Forse perché i migranti salvati domenica venivano dalla Cirenaica, dove il 7 maggio la presidente del Consiglio Giorgia Meloni aveva incontrato a Bengasi, accompagnata da vari ministri, il generale libico Khalifa Haftar. Molti i temi affrontati, dalla presenza militare russa al traffico di immigrati che lo scorso anno ha visto l’arrivo in Italia dalla Cirenaica di migliaia di profughi. Era esattamente da un anno che una nave carica di migranti non salpava da Tobruk. Era il 14 giugno del 2023 e un peschereccio naufragò al largo della Grecia, a Pylos. Morirono oltre 600 persone. Poi più nulla. Ora gli sbarchi sono ripresi e non solo di migranti. Prima il 18 giugno e poi il 28 nel porto di Gioia Tauro sono stati sequestrati due carichi di armi provenienti dalla Cina e diretti proprio in Cirenaica. Droni da combattimento. Il 25 giugno parte da Tobruk il peschereccio soccorso dalla Humanity 1. Una coincidenza? Un’altra storia o la stessa?