Dopo la sentenza della Corte di Torino. Smartphone e tumori: cosa dice la scienza
Alla fine è dovuto intervenire anche il ministro della Salute, Roberto Speranza, nel dibattito innescato dalla sentenza della Corte d’Appello di Torino. Con cui i giudici hanno condannato l’Inail a risarcire un dipendente della Telecom in pensione per il tumore all’orecchio che sarebbe stato causato dall’uso eccessivo del telefonino per lavoro.
«Su queste materie, per quanto mi riguarda, è vincolante – ha detto il ministro – quello che viene affermato dagli istituti internazionali di maggiore prestigio ». Ovvero Organizzazione mondiale della sanità (Oms), Agenzia internazionele per la ricerca sul cancro (Iarc), Istituto superiore di sanità (Iss). Tutti compatti nel sottolineare come nessuna correlazione sia stata provata tra i campi elettromagnetici dei cellulari e l’insorgenza di tumori. Magistratura contro scienza, dunque. E senza mezzi termini, visto che proprio la posizione dell’Iss è stata per la prima volta esplicitamente criticata nella relazione dei periti della Corte di Torino: «Usa in modo inappropriato i dati sull’incidenza dei tumori cerebrali – sostengono i medici coinvolti nel processo – e non tiene conto dei recenti studi sperimentali».
Un atto di accusa che non poteva passare inosservato. Il rapporto dell’Istituto, pubblicato appena lo scorso agosto, parlava chiaro: l’uso prolungato dei telefoni cellulari, su un arco di 10 anni, «non è associato all’incremento del rischio di tumori maligni (glioma) o benigni (meningioma, neuroma acustico, tumori delle ghiandole salivari) » (anche se «mancano dati sugli effetti a lungo termine dell’uso del cellulare iniziato durante l’infanzia »).
Quasi 13mila ore di utilizzo del telefono cellulare in 15 anni, 840 ore all’anno, una media di 4 al giorno. Era il 2010 quando Roberto Romeo, dipendente Telecom, ha scoperto di avere un tumore benigno, un neurinoma nella parte destra del cervello. Poco dopo ha perso l’udito, ma l’Inail gli ha negato l’indennità per malattia. Il Tribunale di Ivrea già nel 2017 gli aveva dato ragione. La Corte d’Appello ha confermato la sentenza il 3 dicembre scorso.
Affermazioni che hanno fatto tirare un sospiro di sollievo alle famiglie italiane, considerando che il nostro attualmente è il Paese con più smartphone pro-capite al mondo. E che hanno sollevato, però, anche le perplessità di migliaia di medici, che con una petizione – tra i primi firmatari proprio l’epidemiologo torinese di fama internazionale, Benedetto Terracini – chiedono all’Istituto una revisione del documento, anche in vista della diffusione della nuova rete 5G.
«Nonostante la grande quantità di studi condotti e di risorse investite negli ultimi anni, la ricerca scientifica non ha fornito ad oggi assicurazioni assolute circa l’impatto sulla salute delle emissioni elettromagnetiche, ai livelli che si possono incontrare negli ambienti di vita» è la posizione della Società italiana di Medicina ambientale (Sima), che richiama comunque l’impiego «dell’approccio precauzionale al fine di mantenere le esposizioni ai più bassi livelli possibili» e che proprio sul 5G esprime invece perplessità: «Sarà un’ulteriore fonte di esposizione della popolazione e dell’ambiente rispetto al clima elettromagnetico attualmente esistente – avverte il presidente Alessandro Miani, professore di Prevenzione Ambientale all’Università di Milano. –. Infatti, se i piani del settore delle telecomunicazioni per il 5G si realizzeranno, la messa in opera di milioni di nuove stazioni radio base, di decine di migliaia di nuovi satelliti e di centinaia di miliardi di oggetti trasmittenti (dispositivi cellulari e wireless, elettrodomestici, accessori indossabili...) potrebbe determinare un incremento non quantificabile a priori dell’esposizione umana ed ambientale sia in termini spaziali che temporali».
Un nuovo terreno di incertezza, quello della banda ultralarga, visto che nello stesso rapporto dell’Istituto superiore di sanità sull’assenza di correlazione tra tumori e cellulari anche la 5G viene “promossa”: «Le emittenti aumenteranno – si legge nel documento –, ma avranno potenze medie inferiori a quelle degli impianti attuali e la rapida variazione temporale dei segnali dovuta all’irradiazione indirizzabile verso l’utente comporterà un’ulteriore riduzione dei livelli medi di campo nelle aree circostanti».