Azzurro vergogna. Sponsor della Nazionale ma deve 60 milioni al fisco
Tasse non pagate per decine di milioni di euro e calciatori forti scommettitori non sanzionati. Due vicende che incrociano l’accordo tra Federcalcio e Intralot, rendendolo ancora più imbarazzante. Per giustificare la sponsorizzazione da parte di un colosso dell’azzardo (slot e scommesse) di tutte le Nazionali, minorenni compresi, il presidente della Figc, Carlo Tavecchio aveva assicurato che tale accordo avrebbe «rafforzato il lavoro della Federcalcio nella promozione della coltura della legalità e per la diffusione di comportamenti consapevoli all’interno del calcio». Mentre l’amministratore delegato del gruppo Gamenet, di cui fa parte Intralot, Guglielmo Angelozzi, l’aveva definito «un’occasione per affermare ogni giorni valori che come gruppo condividiamo con gli Azzurri», e tra questi aveva elencato «onestà e rispetto».
Parole che cozzano contro le denunce alla Procura di Roma e alla Procura della Corte dei Conti che l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli ha preannunciato con una lettera ai 13 concessionari di slot e Vlt. Tra questi anche Gamenet e Intralot. Le ipotesi per le quali si potrebbe procedere sono rispettivamente peculato e danno erariale. Cioè tasse non pagate per 160 milioni. Gli sponsor delle Nazionali 'debitori' dello Stato. È l’esito della vicenda legata alla cosiddetta 'tassa da 500 milioni' prevista dal comma 649 dell’articolo unico della Legge di stabilità 2015.
Una cifra che le 13 società avrebbero dovuto pagare nella misura del 40% entro il 30 aprile 2015 e il restante 60% entro il 31 ottobre 2015. In particolare Gamenet avrebbe dovuto versare circa 47 milioni e Intralot poco più di 13. Dopo varie contestazioni, ricorsi e controricorsi la prima rata di 200 milioni viene pagata (in realtà 'anticipata' solo da alcune società), ma le resistenze diventano un vero e proprio muro sulla seconda che porta nelle casse dello Stato solo 140 milioni sui 300 previsti. Ne mancano dunque ben 160, un vero buco per le casse dello Stato. Tra i meno 'diligenti' proprio i due sponsor delle Nazionali di calcio.
Partono ricorsi al Tar e al Consiglio di Stato ma dal governo poco più di un anno fa arriva un preciso avvertimento. «So che c’è in corso un discussione se pagare o meno – ricordò allora il sottosegretario all’Economia, con delega ai 'giochi', Pier Paolo Baretta –. Ma chiariamo che è legge dello Stato, che questi 300 milioni devono essere versati e che chi non li pagherà sarà fuori legge». Di questi 300 milioni alcune decine devono versarli Gamenet e Intralot, ben di più dei 2 milioni della sponsorizzazione delle Nazionali di calcio. Società che, a detta del Governo, sono dunque «fuori legge», parole che contrastano coi richiami ai valori di «legalità » fatti in occasione della presentazione dell’accordo.
Le due società, legittimamente, la pensano in modo diverso, contestano sia la tassa che l’ammontare, ed ora sarà la Corte Costituzionale a decidere sul contrasto. Il Tar del Lazio ha infatti accolto la richiesta di alcuni concessionari, tra i quali Gamenet e Intralot, di rinviare la questione alla Consulta. E nel ricorso si tira in ballo tutta la cifra, cioè 47 e 13 milioni.
Il Tar, però, ha respinto la richiesta di sospensiva del pagamento della seconda rata, perché non incide sull’equilibrio economico delle società ricorrenti e perché comunque altre società hanno pagato e si creerebbe un evidente danno alla concorrenza, punendo chi ha rispettato la legge. Caso tutt’altro che risolto. Insomma, come ha affermato ieri Baretta, «non c’è mai stato un condono, c’è un contenzioso in atto sulla tassa da 500 milioni». E questo spiega anche la sua contrarietà alla sponsorizzazione. «Serve muoversi con cautela, si tratta di una scelta inopportuna».
Ma c’è un’altra questione che tira in ballo il mondo delle scommesse e Federcalcio, e conferma l’inopportunità dell’accordo. Come risulta ad Avvenire alcune procure che indagano sulla manipolazioni delle partite, hanno segnalato alla Figc i nomi di molti calciatori, anche noti, che scommettono grosse cifre. Niente di penalmente rilevante, ma vietato dagli articoli 6 e 7 del regolamento federale. Fatti provati da numerose intercettazioni, testimonianze, movimenti bancari. Certo non sono i calciatori a scommettere direttamente. Per loro operano prestanome, parenti, amici o collaboratori, con propri conti e carte di credito, o si usano agenzie compiacenti. Ma il regolamento parla chiaro: «È fatto divieto di effettuare scommesse direttamente o per interposta persona o di agevolare scommesse di altri».
Tutto, con nomi e cognomi, è stato trasmesso alla Figc ma non è scattato nessun provvedimento disciplinare (squalifica minimo di 3 anni e ammenda non inferiore a 25mila euro). Eppure sarebbe proprio rispetto della legalità.