La legge. Argine all’azzardo: slot solo con tessera
Le tipologie di macchinette mangiasoldi presenti nelle sale giochi sono diverse. Quelle “a gestione remota” sono gestite da una piattaforma esterna e non comportano l’uso diretto di denaro ma di gettoni
Tessera sanitaria obbligatoria, dal 1° gennaio, per poter utilizzare una “videolottery” o una “slot machine” nelle circa 5mila tra sale e “locali dedicati” presenti sul territorio nazionale e autorizzati dallo Stato. Chi non inserisce il documento magnetico personale nell’apposito lettore, quindi, non potrà più dilettarsi con le “macchinette mangiasoldi” a gestione remota (che non implicano cioè l’immissione e la riscossione diretta di denaro da parte del giocatore). L’accorgimento, salutato con favore dalle associazioni che si occupano di contrastare la ludopatia (e che hanno spinto il legislatore in questa direzione), ha lo scopo soprattutto di tenere lontani i minorenni dal rovinoso vortice dell’azzardo. Secondo uno studio dell’Istituto superiore di sanità, in Italia sarebbero più di 700mila i soggetti con meno di 18 anni (il 3% dei quali “problematici”, che non riescono cioè a controllarsi) i quali hanno dichiarato di scommettere abitualmente del denaro in giochi d’azzardo, non solo in luoghi pubblici ma anche online, con il computer di casa, lo smartphone o il tablet. «Un dato inaccettabile: vuol dire che lo Stato lascia i più fragili in balia di chi vuole fare soldi senza scrupoli» commenta Luciano Gualzetti, vicepresidente della Consulta Nazionale Antiusura.
Tra i locali di Milano
L’obbligo del tesserino, previsto dal cosiddetto “decreto dignità” del 2018 è stato esplicitato da una norma del gennaio 2019 che lo circoscrive agli apparecchi che consentono il gioco pubblico gestito «da ambiente remoto ». Mettere a norma le macchine è costato complessivamente ai gestori 10 milioni di euro, fa sapere Agipronews. I primi dati sulla raccolta sono incoraggianti: sembra un deterrente efficace all’azzardo. Ma si tratta in ogni caso di un obbligo che si può aggirare. Come? Recandosi in una tabaccheria, per esempio, dove le slot sono ancora libere (seppure negli orari d’uso eventualmente stabiliti dal Comune) oppure ripiegando su altri giochi proposti nella sala – vietata formalmente ai minori – ma non sottoposti a questa limitazione, come nei Bingo (ce ne sono 203 in tutta Italia) o nei casinò. Certo, l’“emozione” non è la stessa, ma la smania che prende il giocatore incallito durante una “crisi di astinenza” viene momentaneamente placata. Lo abbiamo visto ieri in una sala giochi nella zona Isola-Maciachini a Milano: ci si può entrare senza troppi controlli. Al piano terra una trentina di “videolottery”, tutte in regola, con l’apposita fessura per inserire il tesserino. Molti avventori però non sapevano dell’obbligo e sono andati in tilt: in preda al demone del gioco, non sapendo cosa fare, sono saliti al piano superiore per farsi una giocata al bingo, una specie di tombola, che consiste nell’acquisto di cartelle (al prezzo di 1 euro) con 15 numeri da coprire attraverso un’estrazione elettronica. Qui non c’è alcun obbligo e le verifiche su chi va e chi viene sono all’acqua di rose, anche se i cartelli che vietano l’ingresso ai minorenni non mancano. Tavoli pieni, anche all’ora di pranzo. I giocatori sono soprattutto anziani, la metà donne, italiani ma anche filippini, andini, cinesi. E più persone giocano più la posta da vincere aumenta. C’è chi solidarizza con il vicino, chi invece non vuole parlare e non stacca gli occhi da quei rettangolini di cartoncino e dal display con i numeri che escono con una certa frequenza. Non bisogna distrarsi. Ogni tanto passano tra i tavoli i croupier a riscuotere le quote o a consegnare il tagliandino della vincita da presentare alla cassa. C’è chi si fa portare un piatto di pasta (si può mangiare) e una bottiglietta d’acqua. Ma ci vogliono parecchie ore prima di azzeccare una “cinquina” e in un pomeriggio possono andar via anche 50-60 euro per comprare le cartelle senza fare nemmeno un “bingo”.
Obiettivo riforma
L’esercito dei ludopatici in Italia è ancora nutrito: 18 milioni dichiarano di avere problemi di dipendenza con il gioco, “gratta e vinci” compresi. Il “Libro blu” per il 2018 reso disponibile dall’Agenzia delle dogane e dei monopoli, segna 106,8 miliardi di euro spesi per l’azzardo legale nella “rete fisica” costituita da circa 260mila slot e 57mila videolotteries (le vincite ammontano invece a 87,8 miliardi, il resto viene diviso tra i concessionari e lo Stato). «Serve una riforma del settore, complessiva e coerente, che tuteli i più deboli – insiste Gualzetti – mettendo mano alla disciplina della pubblicità e lasciando ai Comuni l’autonomia di decisione nello stabilire le distanze delle sale dalle scuole e la responsabilità dei controlli di polizia. Non si tratta di merce qualsiasi, siamo di fronte a persone, a intere famiglie che col gioco si possono rovinare». «La norma che impone l’uso delle tessere sanitarie è senz’altro positiva – afferma don Armando Zappolini, del Coordinamento Nazionale Comunità Accoglienza, promotore della campagna “Mettiamoci in gioco” –, è un argine all’abuso, un atto formale importante, e lo Stato così almeno salva la faccia ». Ma può bastare? «No, certamente, senza controlli può rivelarsi persino inutile – dice don Zappolini –, è necessario attivare subito un presidio sociale civico per chiedere altre norme che impongano alle autorità di intensificare i controlli nei luoghi di gioco e inoltre proseguire la prevenzione nelle scuole, nelle parrocchie, con i giovani per far capire loro che giocare fa male. È una battaglia lunga e difficile, ci sono lobby del gioco d’azzardo che fanno pressioni sulle forze politiche...». Se non si spezza quell’asse, si rischia di fare un buco nell’acqua.